Palestina. Morti di serie A e vittime della Guerra


bambini palestinesi

(Raimondo Schiavone) Ci sono argomenti che è difficile trattare o spesso non vengono trattati perché si rischia di essere tacciati di razzismo, antisemitismo o fondamentalismo. Spesso si è meno crudi nel criticare il comportamento di un nero per non cadere nella banale accusa di essere un razzista, non si critica Israele per evitare di essere tacciati di antisemitismo, non si parla del diverso peso che la morte ha quando a morire è un bambino israeliano rispetto a quella di un pari età palestinese per non essere considerato un fondamentalista. Eppure le lacrime delle rispettive madri sono uguali, il dolore che provoca la perdita di un figlio è la stessa, ma l’impatto mediatico dei due eventi dolorosi è esageratamente diverso.

Settimanalmente muoiono ragazzi o bambini nella striscia di Gaza, alcuni vengono arrestati e puniti fisicamente, le testimonianze giornalistiche di questi accadimenti sono sotto gli occhi di tutti, ma fa più clamore, crea molta più indignazione la morte di un ragazzo Israeliano.

Lungi dal volerla sminuire e da voler considerare quanto accaduto in questi giorni ai tre ragazzi Israeliani rapiti ed uccisi da mano assassina un fatto da sottovalutare o sminuire, ma i clamore di questo evento è eccessivamente sproporzionato rispetto a quello accaduto quasi nelle stesse ore a ragazzi palestinesi rimasti uccisi sotto le bombe di Israele.

E’ vero che l’abitudine indurisce, non fa notizia, non crea emozione, troppi sono, infatti, i ragazzi palestinesi che muoiono ogni anno sotto le bombe o i fucili israeliani, non rappresentano più una notizia, non sono un caso, vengono declassati alla “normalità” di una guerra infinita dalla quale non possono che scaturire delle morti. Ciò non accade a parti invertite, sono meno i ragazzi israeliani a subire gli effetti nefasti di quella guerra, sono casi rari, ed ecco che in quei casi l’attenzione è morbosa i media la enfatizzano, l’emozione diventa collettiva. Il dolore di quelle madri sembra diverso, quasi si legittima la reazione, anche sconsiderata, che provocherà tanti morti innocenti.

Si, proprio innocenti. Perché a pagare non saranno quei barbari assassini dei tre ragazzi, ma decine di altri ragazzi, donne bambini, perché le bombe non guardano in faccia nessuno, non chiedono la carta di identità o il certificato di nascita. Esistono i morti di serie A e quelli dei campionati dilettanti, esiste una bilancia che pesa la morte e non lo fa con giustizia ed equità, è una bilancia che tiene conto del passaporto, del colore della pelle, del denaro che possiedi, dell’essere dalla parte dei vincitori o dei vinti. Una bilancia scassata, dalla politica, dai media, dalla storia, da noi uomini che abitiamo questa terra e che abbiamo perso il senso della giustizia, che cambiamo canale quando il ragazzo morto era uno che tirava le pietre a mani nude mentre ci incolliamo alla TV se è uno del nostro “presunto” mondo.

Non siamo capaci di esprimere la stessa commozione, le lacrime sono diverse, persino quelle assumono un colore politico, sono lacrime “ingiuste”, “inique”, sono lacrime di parte.

Sconvolge pensare che nel nostro recondito possa nascondersi tanta crudeltà, insensibilità, durezza d’animo, eppure è un sentimento istintivo, indotto da anni di mistificazione della verità, di cattiva informazione, di deformazione dei fatti. Si perché la verità, l’unica che nessuno può più nascondere è che in Palestina da decenni si combatte una guerra e che il “mondo” quella pace non la vuole, che Israele quella pace non la accetterà mai, sarà sempre e solo la prevaricazione ad avere la meglio e ci saranno sempre più ragazzi morti per i quali si invoca la benedizione dalle case di tutto il mondo e madri sole che piangeranno i propri figli, coltivando da sole la memoria senza storia, senza compassione.