L’archimandrita greco-melchita Mtanios Haddad parla a Cagliari della situazione a Damasco.
Per risolvere la situazione l’Europa può fare molto. Il cristianesimo corre rischi gravissimi in Siria. E senza i cristiani il dialogo sarebbe impossibile.
Nella ritualità melchita anche la mano che disegna la croce su petto e volto dei credenti è una rappresentazione dogmatica: pollice, indice e medio convergono diventanto una trinità, mentre anulare e mignolo, piegati, raccontano la duplice natura del cristo, uomo e dio. Nella chiesa di Santa Lucia a Cagliari padre Mtanios hadda apostrofa la platea: E se arrivassero qui, i terroristi?
Nella liturgia che s’è fatta conferenza sulla Siria contemporanea le braccia ieratiche imposte sui credenti dal pulpito terminano con indici e medi incrociati, gesto scaramantico che segna il passaggio dalla teologia alla storia. Padre Haddad dal 2006 è archimandrita greco-melchita, incaricato dal Patriarca Gregorio III Laham di rappresentanza presso il Vaticano. La sua presenza a Cagliari si deve a padre Massimo Noli, parroco della chiesa di Santa Lucia, enclave appartenente all’ordine patriarcale della Santa Croce di Gerusalemme, del quale padre Haddad è vice-gran priore.
Oriente e Occidente nei labirinti intrecciati dei credi e delle cariche ecclesiastiche, a confronto, ancora una volta, davanti alle porte di Damasco, dove la guerra siriana compirà presto tre anni. Centoquarantamila morti e il silenzio mediatico calato dopo il compromesso sulle armi chimiche che il 21 agosto 2013 hanno ucciso centinaia di persone nella periferia contesa della capitale. La narrativa con cui Padre Haddad infila le controverse vicende è la stessa emersa in quei giorni, quando la Russia spegneva i pruriti di Stati Uniti, Francia, Turchia e petromonarchie del golfo. I missili tomahawk venivano disinnescati e la soluzione politica rimandata alla Conferenza II di Ginevra del 22 gennaio, un prevedibile fallimento.
Tutto è nato dall’”invidia” di Arabia Saudita e Qatar, luoghi del fondamentalismo sunnita avverso alla tolleranza religiosa garantita dal regime baathista di Bashar al-Assad, guidato da una minoranza alawita (una setta sciita) ma attento a tutelare i diritti delle 18 confesisoni presenti in Siria. Per questo, quando l’onda della primavera araba ha investito Homs, Aleppo e Damasco, vagonate di petrodollari hanno riempito le tasche dell’opposizione, necessari per i kalashnikov e il rifiuto della revisione dell’articolo 8 della costituzione, che avrebbe posto fine al regime di monopartitismo. Da qui la nascita del Libero Esercito Siriano soverchiato oggi, spiega Haddad, da un pulviscolo di brigate terroristiche. Nei territori conquistati regna l’applicazione più feroce della legge islamica, la Sharia. E gli infedeli vengono tassati, o fucilati.
“Io non sono pro Assad”, tiene a precisare l’archimandrita. In sacrestia sostiene, però, che “il pugno di ferro diventa necessario per tenere insieme una famiglia di 18 persone” e “ad Hama Hefiz fece bene a schiacciare i Fratelli musulmani”, riferendosi agli almeno 10.000 morti del febbraio 1982. Nel giudizio machiavellico del religioso siriano si agitano tutti i fantasmi dei vecchi e nuovi colonialismi occidentali: Israele, Iran e Iraq, Afghanistan, il colpo di stato di al-Sisi in Egitto. “Basterebbe chiudere i finanziamenti che armano i terroristi perché la tragedia in Siria abbia fine”. L’Europa può fare molto. Il cristianesimo corre rischi gravissimi in Siria. E senza cristiani il dialogo sarebbe impossibile”, conclude Padre Haddad, che pur incrociando le dita è più lucido, e forse giusto, del balbettante Occidente.
Luca Foschi
fonte: L'Unione Sarda, pg. 14, 21 marzo 2014
Submitted by Anonimo on Fri, 21/03/2014 - 14:21