Roma, 17 febbraio 2014, Nena News – Dopo undici mesi di crisi politica e cinque sanguinosi attentati, il Libano ha di nuovo un governo. Almeno per ora. Perché a 48 ore dalla formazione dell’ esecutivo delle “larghe intese”, frutto di un compromesso tra le due coalizioni nemiche dell’8 e del 14 marzo per evitare un gabinetto tecnico su volere del presidente Michel Suleiman, si sentono i primi scricchiolii di fondo. Facile, con un governo così variegato e piuttosto ambiguo: 9 ministeri al 14 marzo, tra cui quelli fondamentali degli Interni e della Giustizia al Movimento del Futuro di Saad Hariri. Otto, invece, al campo nemico dell’8 marzo, con due soli ministeri, tra cui quello fondamentale dell’Industria, nelle mani di Hezbollah. E sette ai vari partiti centristi.
Troppo sbilanciata la rappresentazione, accusano alcuni: in sostanza non ci si spiega com’è possibile che le Falangi libanesi, della coalizione del 14 marzo, abbiano ottenuto 3 ministeri con soli 5 deputati eletti in Parlamento, a fronte dei 4 dicasteri distribuiti al Movimento del Futuro che conta 37 deputati. Il conflitto di interessi è invece evidente nel ministero della Giustizia, affidato al movimento del Futuro di Hariri, che ha già fatto sapere di voler lavorare al massimo al fianco del Tribunale Speciale per il Libano per riuscire a condannare gli assassini di Hariri padre, di cui la coalizione 14 marzo accusa da sempre Hezbollah.
Il primo campo di battaglia tra i due schieramenti sarà comunque la dichiarazione ministeriale, che dovrà essere redatta entro la fine della settimana: nonostante la volontà comune, secondo il quotidiano al-Nahar, di evitare qualsiasi riferimento alle questioni più controverse – dal conflitto siriano al Tribunale speciale per il Libano – e concentrarsi piuttosto su sicurezza, economia e sulle prossime elezioni presidenziali, lo scoglio principale è nella forma stessa del testo. Il fronte del 14 marzo ha già sparato le prime cartucce: adozione della dichiarazione di Baabda – che statuisce la neutralità del Libano rispetto ai conflitti regionali – e via la formula “Unità del popolo, esercito e resistenza” voluta da Hezbollah.
“Non accetteremo niente – ha dichiarato Boutros Harb, ministro delle Telecomunicazioni del 14 marzo – al di fuori dell’accordo di Baabda nella dichiarazione ministeriale”. Gli ha fatto eco Amin Gemayel, leader del partito delle Falangi libanesi, detentore di ben tre dicasteri: “Non siamo affatto tolleranti – ha detto ieri alla conferenza stampa di Bikfaya – quando si parla di dichiarazione ministeriale”. Di tutt’altro parere è invece Hassan Nasrallah, segretario generale di Hezbollah, che ieri, dopo mesi di silenzio, ha parlato in occasione dell’anniversario dei martiri: “Resteremo in Siria. E vinceremo la battaglia. E’ solo una questione di tempo”.
Quanto alla sicurezza del Paese, altro nodo fondamentale da inserire nella dichiarazione ministeriale, Nasrallah è stato chiaro: “Il terrorismo dei Takfiri (termine usato dagli sciiti per indicare quei gruppi radicali sunniti che applicano il Takfir, cioè la scomunica, ndr) è una minaccia per l’intera regione. Se questi gruppi armati prendono il controllo della Siria e delle città frontaliere del Libano, avremo guerra su tutti i fronti. E se questi gruppi trionferanno, mi domando se ci sarà un futuro, in Libano, per il Movimento del Futuro”. A chi accusa il Partito di Dio di essere responsabile dell’ondata di attentati che ha insanguinato il Paese – in prevalenza nelle zone a maggioranza sciita – negli ultimi mesi, Nasrallah ha risposto che le operazioni di gruppi jihadisti erano comunque presenti nel Paese dei Cedri da tempo. “Il Libano era il loro obiettivo – ha continuato – e sarebbero arrivati, prima o poi. Era una questione di tempo. E, anche se fossero qui per noi, di combattere i ribelli ne è valsa la pena”.
Le affermazioni di Hezbollah sono tanto più esplicative quando si guarda al neo-ministro degli Interni: Ashraf Rifi, sul quale tre giorni fa si era consumata una battaglia che aveva fatto slittare la formazione del governo, con Hezbollah che aveva posto il veto sulla sua nomina. Acerrimo nemico del Partito di Dio, Rifi è molto vicino sia all’Arabia Saudita che ai gruppi anti-Assad libanesi, soprattutto nella città di Tripoli di cui è originario. Sembrava evidente che una sua nomina avrebbe inficiato i movimenti di Hezbollah in Siria, ma alla fine il Partito di Dio ha ceduto compiendo, come ha sottolineato Nasrallah, “il sacrificio più grande”. Miracoli della politica? Nena News.
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