Ennesimo attacco contro Maalula, patrimonio mondiale della cristianità. La deputata a Rainews.it: "I cristiani sono in serio pericolo". E con un messaggio, lancia un appello al Pontefice.
di Emma Farnè
02 dicembre 2013
Quello contro Maalula è l'ennesimo attacco firmato dai terroristi. La città non solo è simbolo del cristianesimo in Siria ma anche della convivenza tra diverse culture. A una cinquantina di chilometri da Damasco, Maalula ha una storia antichissima. Un posto dove si parla ancora l'aramaico antico, quello usato da Gesù Cristo. In queste ore, la popolazione della città e i cristiani sono in pericolo. Ne parliamo con Maria Saadeh, deputata del parlamento siriano.
Che cosa sta succedendo a Maalula?
“Ho chiamato alcune persone che sono lì. Mi hanno detto che hanno bruciato la città, Maalula, l'ultima riserva dell'aramaico: la lingua di Gesù Cristo. Se Maalula va a fuoco, vuol dire che è una grande perdita del patrimonio culturale e non solo di quello siriano, ma di tutta la cristianità”.
Perché i cristiani sono di mira?
“La città è sulla linea della montagna di Al Kalamun, dove sono tutti i terroristi. Questo è un motivo. L'altro è perché Maalula è un simbolo della religione cristiana. Gli estremisti attaccano quindi la città perché hanno in mente di spaventare i cristiani e le loro famiglie. Sono persone veramente in pericolo”.
Qual è la situazione nel monastero di Santa Tecla (Mar Taqla, ndr)?
“Alcuni estremisti hanno rapito quattro suore. Ma nel monastero ci sono anche musulmani e anche loro sono in pericolo. E' questa la democrazia e la libertà di cui parlano alcune persone? L'ultimo mese hanno attaccato anche le scuole, anche lì ci sono state vittime”. Intanto è mistero sulla sorte delle suore. Secondo alcune fonti locali, le religiose sono irraggiungibili al telefono ma non sono state rapite. Invece, secondo il nunzio apostolico in Siria, monsignor Mario Zenari "sono state prese con la forza e le armi".
Recentemente ha avuto un incontro con il Papa?
Sì, gli ho consegnato un messaggio a nome di tutti i siriani, che io rappresento. Gli ho portato la loro voce, lui può pregare per loro e chiedere la pace in Siria. Prima dell'8 settembre (data dell'Angelus sul commercio di armi e un riferimento implicito alla Siria, ndr) si sapeva com'era la situazione nel Paese. Ma adesso abbiamo bisogno che questi discorsi di pace siano diffusi. Abbiamo bisogno che il Pontefice diventi nostro ambasciatore in Occidente e nel mondo. La pace è ora nelle mani del Papa”.
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