Qual è la situazione della Siria in questo momento?
Siamo in una situazione molto drammatica. Ogni giorno il nostro popolo subisce violenze, crimini e massacri da parte dei ribelli, ovvero da quel gruppo che l’Occidente si ostina a chiamare opposizione. Inoltre, ci troviamo in una situazione di stallo poiché non siamo completamente d’accordo con il governo di Assad ma non lo siamo neanche con le proposte fatte dai ribelli. Pensi che ancora non hanno presentato un progetto nazionale in grado di risolvere o quantomeno calmare il conflitto.
Come si è evoluta la crisi in questi anni di conflitto armato?
Guardi, sin dall’inizio ho avuto una visione molto chiara di ciò che stava succedendo nel mio Paese. Anche se sono sempre stata critica nei confronti del governo, capivo che non si stava raccontando la verità. Per me era chiaro che non eravamo di fronte a un gruppo di opposizione ma davanti a una minaccia, essendo intenzionati a disintegrare la società siriana dall’interno attraverso l’uso di due strumenti di divisione: chi era con Bashar Al Assad e chi era contro e il settarismo. Quest’ultimo strumento ha permesso loro di innescare il conflitto fra le diverse etnie che compongono il mosaico della società siriana.
Qual è stato o quale continua ad essere l’errore dell’Occidente nei confronti della Siria
L’errore è stato quello di presentare un’immagine distorta della guerra. Hanno utilizzato i mezzi di comunicazione come uno strumento di divisione. Mi colpisce ancora il fatto che l’Occidente esiga dichiaratamente la fine del regime siriano. Considero questa un’offesa per l’indipendenza di uno Stato e un’offesa per ogni cittadino siriano. Ripeto, anche se non sono mai stata d’accordo con Assad, mi sento profondamente offesa. Ogni popolo ha il diritto sacrosanto di decidere il proprio destino e, in quest’ottica, solo noi siriani abbiamo il diritto di scegliere da chi essere guidati.
Come mai per più di trent’anni avete permesso che il potere e il controllo del Paese si concentrasse solo su una famiglia?
Qui parliamo di democrazia, un concetto che ha diverse sfumature. La democrazia fa parte della cultura di un Paese e, in tal senso, nessuno Stato può essere democratico se la sua società non custodisce in sé il rispetto per l’altro. I sistemi arabi tendono a concentrare il potere su una parte della società, questa è la natura della mentalità delle popolazioni arabe del Medio Oriente. Ma questo non vuol dire che non siano democratiche.
Quindi vi è l’imposizione di un certo modello democratico?
L’Occidente utilizza la democrazia come una scusa, ma se volessimo prendere alla lettera ciò che dice, allora il primo governo a cadere dovrebbe essere l’Arabia Saudita, dove non esistono né una costituzione, né diritti, né libertà per le donne, solo per citare alcuni dei problemi. Si tratta di una dittatura al cento per cento. Mentre in Siria il presidente ha governato per un lungo periodo, però sotto la guida di una Costituzione che custodisce le fondamenta del nostro Stato. In essa, appare chiaro che siamo uno stato laico e indipendente, che protegge tutti i cittadini con gli stessi diritti e doveri. Ripeto, la nostra Costituzione è laica e rispetta la libertà di religione. Anche le donne hanno un ruolo importante nella società, pensi che in parlamento il 12% sono donne. Io stessa sono il simbolo del rispetto e della libertà. Quando mi sono candidata, sono stata votata maggiormente dai siriani musulmani e non dai cristiani (Saadeh è cristiana, ndr). Questo dimostra che hanno votato le mie idee senza guardare alla mia appartenenza religiosa. È inammissibile promuovere la democrazia e dichiarare la guerra a uno Stato per imporre un certo tipo di democrazia. Ciò che stanno facendo in Siria è distruggere lo Stato.
Chi, a suo parere, sta guidando la guerra in Siria?
Ci sono tre livelli d’ingerenza nel mio Paese. In primo luogo, quella interna. Vuol dire che utilizzano ciò che accade dentro i confini per decidere dall’esterno il proseguimento della crisi. In secondo luogo, quella regionale, esercitata dai Paesi confinanti interessati a rovesciare il regime siriano. Infine, quella esercitata dalla comunità internazionale. È chiaro che oggi i Paesi che possono dettare le azioni internazionali sono quelli che hanno in mano le fonti energetiche quali gas e petrolio. Vorrei essere chiara su questo punto. Parlo precisamente di Paesi come il Qatar, il quale ha finanziato e armato i ribelli, e l’Arabia Saudita, Paese portatore di una corrente estremista, salafita e wahabita. I sauditi hanno fatto una sorta di lavaggio del cervello ai giovani siriani che adesso combattono lo Stato. Anche la Turchia ha avuto, e ha tuttora, un ruolo nella crisi. Loro vogliono controllare le risorse energetiche e industriali della Siria. In Europa, purtroppo, uno dei Paesi che ha giocato il ruolo principale è stato la Francia, la cui economia dipende dal Qatar. E anche gli Stati Uniti, naturalmente, che per mantenere l’esistenza di Israele, hanno la missione di cambiare il Medio Oriente modificandone la struttura degli Stati.
Quali sono gli interessi che questi Paesi celano dietro la guerra in Siria?
Il primo è la creazione di un regime islamico e sottomesso ai loro interessi economici, strategici e geopolitici senza curarsi del popolo siriano. Il secondo è la creazione di un regime che accettasse una pace senza condizioni con Israele. Infine, l’altro interesse è la trasformazione del nostro regime laico in un sistema religioso. Consideri che lo Stato islamico è più facile da gestire e controllare, non così uno stato laico, dove c’è uno sviluppo naturale della società civile.
Uno stato islamico non sarebbe in conflitto con Israele?
Sì, le cose sono più complesse di quello che sembrano. Negli Stati Uniti ci sono tre lobby che controllano il centro decisionale: quella ebraica, quella degli armamenti e quella del petrolio. Queste tre hanno in comune l’obiettivo di togliere di mezzo il governo siriano. In questo modo, controlleranno più facilmente le fonti di energia, nel frattempo aumentano il mercato delle armi e aiutano Israele a trovare un regime più accondiscendente. Mi spiego: oggi sia gli Stati Uniti che l’Europa subiscono una forte crisi economica mentre Paesi come la Russia, la Cina e l’Iran sono in espansione. In poco tempo, la Siria è diventata il centro del conflitto fra queste due parti. Israele, da parte sua, essendo un membro estraneo al corpo del Medio Oriente, economicamente dipende dagli Usa e dall’Europa e la crisi mondiale minaccia direttamente la sua stabilità. La Siria è sempre stata contraria alla costruzione di uno Stato nella casa degli altri. Siamo contrari all’uso della religione ebraica per la costruzione di uno Stato. Difendiamo tutte le religioni dal loro utilizzo politico.
Cosa si aspetta da questo viaggio in Italia?
L’Italia è un Paese cristiano, come lo sono io, perciò è incline alla pace e al dialogo. L’esistenza del Vaticano fa sì che questo sia un Paese importante per il cattolicesimo. Vorrei invitare gli italiani a essere messaggeri dei siriani per portare il mio Paese alla pace. È importante che in Italia si parli e che vengano ascoltate tutte le voci di un conflitto. Personalmente, sono pronta a tornare qui per raccontare la Siria.
In cosa consiste il suo lavoro adesso in Siria?
Sto lavorando a un progetto che raggruppa la società civile siriana per portare all’esterno la nostra voce. Si tratta di uno spazio virtuale, dove tutti potranno raccontare la verità, così l’Occidente o chi ne sarà interessato potrà comprendere la posizione e gli interessi dei siriani. Lo scopo è rappresentare in modo reale la società civile e aiutare lo sviluppo. Come primo passo, abbiamo pensato alla creazione di una rete per lo scambio d’informazioni, dove sarete invitati non appena sarà pronta. “Vogliamo, crediamo, possiamo”, questo è il motto del movimento.
Cosa vuol dire essere donna e lavorare in politica in Siria?
Non sono l’unica donna che ha avuto un ruolo in questa crisi. Negli ultimi anni, sono uscite fuori diverse personalità che giocano un ruolo importante nella politica e nello sviluppo. La mia esperienza attraverso il Parlamento ha avuto un largo consenso nella società. Essendo una donna, posso capire i bisogni della società sia come donna che come madre e non solo come una parte politica. Credo che la mia esperienza abbia rappresentato un modo diverso di praticare la politica in Siria.
(di Mariana Diaz Vasquez)
Submitted by Anonimo on Mon, 02/12/2013 - 14:16