Negli ultimi 5 giorni sono entrati nel Paese dei Cedri oltre 5mila rifugiati siriani. Tra loro anche l'élite di Damasco, spaventata dai venti di guerra americani.
Campo profughi ad Arsal (Foto: AP/Bilal Hussein)
di Sonia Grieco
Roma, 30 agosto 2013, Nena News - Mentre la Casa Bianca incassa la defezione britannica ed è costretta a prendere tempo, la minaccia di un attacco contro la Siria sta causando un esodo in massa dal Paese, soprattutto verso il Libano che ha sempre mantenuto aperte le frontiere con il vicino. Negli ultimi cinque giorni il numero di siriani arrivati nel Paese dei Cedri è passato da 703.000 a 708.000, secondo l'Alto commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr), ma ce ne sono migliaia entrati illegalmente, che farebbero salire il numero a un milione.
Per loro non c'è l'assistenza delle Nazioni Unite e tanti, se non sono aiutati da parenti e amici, sono costretti a vivere di espedienti. Nelle principali strade di Beirut si incontrano molti bambini che racimolano qualche soldo vendendo rose.
Per il governo di Beirut quella dei profughi siriani è un'emergenza che si somma ai problemi di sicurezza interni acuitisi negli ultimi mesi, che sono una ripercussione del vicino conflitto: le bombe esplose nella capitale e a Tripoli, gli scontri tra sunniti e alawiti, gli Hezbollah schieratisi apertamente al fianco del presidente siriano Bashar al Assad.
Ma le politiche di accoglienza libanesi sono spesso finite nel mirino delle organizzazioni non governative che hanno denunciato il ricorso a misure troppo restrittive, che metterebbero a rischio la vita di molti siriani in fuga dal conflitto. Le file al posto di controllo di Masnaa, nella valle della Bekaa, sono lunghissime e per avere un permesso annuale si devono pagare duecento dollari. A questo si aggiunge una politica restrittiva, che provoca respingimenti giustificati anche soltanto dal fatto che un documento è sbrindellato, hanno denunciato alcune Ong. "Gli effetti sono che si impedisce ai siriani di scappare dalle violenze che devastano il loro Paese e che sempre più persone entrano in Libano illegalmente", ha detto Daryl Grisgraber, della Ong Refugees International, al quotidiano libanese Daily Star.
Il governo libanese è consapevole e preoccupato per l'emergenza che preme alle sue porte. Il Libano è già alle prese con la decennale questione dei profughi palestinesi cui sono negati diversi diritti e che vivono dell'assistenza dell'Unwra in 12 campi sparsi sul territorio libanese. In questi insediamenti hanno trovato rifugio molti siriani e palestinesi che vivevano in Siria.
Il massiccio flusso di profughi è percepito anche come un potenziale fattore di destabilizzazione del fragile equilibrio su cui si regge il Libano, che peraltro sta vivendo una fase di stallo istituzionale che si traduce nella difficoltà di formare un governo dopo le dimissioni, lo scorso marzo, dell'ex primo ministro Najib Mikati.
Il presidente Michel Sleiman porterà la questione dei profughi siriano all'attenzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, probabilmente il 19 settembre. La decisione è stata presa a margine di un incontro con il ministro dell'Interno ad interim, Marwan Charbe, mercoledì scorso. "Stiamo lavorando per organizzare un centro di accoglienza alla frontiera in collaborazione le organizzazioni internazionali, per accompagnare questi rifugiati in località ancora da definire", ha detto Charbel, confermando che il flusso di persone in fuga dalla Siria si è intensificato da quando si è iniziato a parlare di un attacco contro il regime di Damasco.
Le dichiarazioni di impegno di Beirut sono state confermate all'agenzia kuwaitiana Kuna dalla portavoce dell'Unhcr in Libano, Dana Suleiman, che ha parlato di un "piano di emergenza" di concerto con il governo in caso di attacco militare, che prevede la distribuzione di cibo, l'affitto di alloggi per i siriani, la registrazione dei bambini a scuola e l'assistenza sanitaria. La signora Suleiman ha però sottolineato la difficile situazione del Paese dei Cedri: il numero di profughi presenti in Libano supera le capacità di accoglienza del Paese, ha detto.
Intanto, a Masnaa arrivano anche i benestanti siriani, quelli che fuggono per ultimi perché anche la guerra colpisce i poveri più che i ricchi e, infatti, i quartieri centrali di Damasco, quelli dove ci sono i centri del potere, hanno conservato una parvenza di normalità in questi anni di violenze e devastazioni. Adesso, però, pare che i nemici di Assad facciano sul serio, e l'élite scappa. Gli uomini d'affari che avevano già mandato le famiglie in Libano, fanno file più corte, senza troppe domande a Masnaa.
"È arrivato anche per me il tempo di andare via - ha spiegato al The Guardian l'uomo d'affari Salah Abur Rahman - Qualsiasi cosa accada, i danni saranno ingenti". Gli ha fatto eco un imprenditore di Damasco: "Bombarderanno gli edifici governativi, potranno bombardare qualsiasi cosa. La realtà è che non c'è rimasto molto nel Paese". Nena News
Submitted by Anonimo on Fri, 30/08/2013 - 14:55