I gas, i manifestanti innocenti, le finte fosse comuni. Ecco come i Fratelli musulmani hanno costruito notizie toccanti per spingere l'Occidente a (disastrosi) interventi
Gian Micalessin - Mar, 27/08/2013 - 08:18
La fiducia è una cosa seria. Riservata alle persone serie. Il rischio in Siria è, invece, di schierarci con chi si fa beffe della nostra fiducia, della nostra buona fede e della nostra disponibilità alla compassione. Tutti temi in cui la Fratellanza musulmana, artefice della ribellione, ha una consolidata tradizione.
Dalla Fratellanza musulmana nasce Hamas, l'organizzazione maestra nell'innescare le rappresaglie israeliane e moltiplicarne poi il numero delle vittime. Alla Fratellanza erano legati i militanti di Bengasi trasformati in protetti della Nato grazie alle «bufale» di Al Jazeera.
Alla Fratellanza appartengono i militanti egiziani pronti a piangere centinaia di «fratelli» caduti, ma anche a ospitare nei propri cortei - come documentano le foto esclusive de Il Giornale - gli armati chiamati a sparare sui militari e a innescarne la reazione.
E Fratelli musulmani sono quei rivoltosi siriani puntualissimi nel denunciare un attacco con i gas perfettamente «sincronizzato» con l'arrivo a Damasco degli ispettori Onu chiamati ad indagare sulle armi chimiche.
Hamas e le resurrezioni
di Jenin e Gaza
Nell'aprile 2002 quattro militanti di Hamas portano a spalla una barella con un cadavere coperto da una bandiera dell'organizzazione nata da una costola della Fratellanza Musulmana. Siamo a Jenin, la città dove per dieci giorni Israele ha stretto d'assedio i militanti palestinesi. D'improvviso i quattro inciampano e barella e «defunto» franano a terra. A rialzarsi però non sono, come documentano le riprese di un drone israeliano, solo i quattro barellieri, ma anche il «cadavere» prontissimo a risaltare nella lettiga. La mesta processione precipita nuovamente nel grottesco quando i quattro tornano ad inciampare e il «morto» torna a «rialzarsi» terrorizzando un gruppo di civili convinti di aver davanti uno zombie. La farsa inscenata da Hamas per moltiplicare i 54 caduti palestinesi dell'assedio di Jenin si ripete negli anni a venire. L'ultima rappresentazione va in scena a Gaza nel novembre 2012. Anche lì una presunta vittima delle bombe israeliane, un uomo in giacca beige e maglietta nera trascinato dai soccorritori, riprende vita al termine delle immagini destinate alla Bbc. Poi si rialza, si guarda attorno e soddisfatto s'allontana.
In Libia nel 2011 i video e le immagini fornite dai ribelli ad Al Jazeera e Al Arabya spingono le opinioni pubbliche occidentali ad appoggiare la richiesta di una «no fly zone» santificata dal voto dell'Onu e realizzata dalla Nato. I falsi storici con cui l'emittente del Qatar prepara il terreno a un intervento militare «indispensabile» per fermare i «massacri» di Gheddafi sono due. Il primo nel febbraio 2011 documenta un presunto intervento dei Mig del Colonnello scesi in picchiata nelle strade della capitale per mitragliare i dimostranti. La notizia è palesemente falsa, ma l'Occidente se la beve come un caffelatte a colazione. Così, subito dopo, si ritrova servite le immagini di un cimitero spacciato per fossa comune in cui verrebbero sepolti gli oppositori uccisi dalle milizie governative. Non è vero niente, ma intanto il Colonnello diventa un mostro sanguinario. Un mostro da eliminare con l'aiuto di un Occidente obbligato a difendere i più deboli e chiamato ad instaurare libertà e democrazia.
Queste foto, parte di un dossier esclusivo fornito a Il Giornale, dimostrano come la reazione dell'esercito sia stata innescata dai militanti di Hamas armati di pistole e kalashnikov. I militanti mascherati vengono mandati a sparare contro le postazioni dei militari dopo essersi mescolati ai cortei di protesta della Fratellanza Musulmana. Gli uomini armati utilizzano i dimostranti come scudo innescando la reazione dei militari che causerà centinaia di vittime. La presenza dei militanti armati cambia la dinamica di un massacro attribuito al cinismo di una cricca di generali pronta a tutto pur di costringere alla resa i sostenitori del deposto presidente Morsi.
Le immagini di Ghouta, la località dove il governo avrebbe usato i gas sono devastanti dal punto di vista emozionale, ma assai ambigue dal punto di vista documentale. La contraddizione più evidente è la mancanza di protezioni da parte dei presunti sanitari arrivati a soccorrere le vittime. L'altra è la sistematica plateale teatralità con cui i bambini deceduti vengono allineati davanti agli obbiettivi. Ad Halabja nel marzo 1988 i gas di Saddam non fecero distinzione tra vittime e soccorritori e sterminarono chiunque non si fosse allontanato. A Ghouta nessuno fugge, non c'è un clima di panico e gli ospedali continuano a funzionare. L'impressione è di un attacco circostanziato e molto limitato. E questo fa sorgere due grossi interrogativi. Perché Assad avrebbe atteso due anni e mezzo prima di usare i gas salvo poi impiegarli sotto gli occhi degli osservatori dell'Onu? E soprattutto perché incominciare da una zona dove il regime non è militarmente in difficoltà e dove non viene sfruttato il vantaggio tattico offerto dall'arma chimica per riconquistare il territorio e nascondere le prove?
Submitted by Anonimo on Tue, 27/08/2013 - 08:06