In questo paragrafo il contenuto dell'incontro con Assad svoltosi il 5 Settembre a Damasco. Una giusta precisazione per evitare confusione dovute a seplificazioni giornalistiche.
Dal libro inchiesta "Syria. Quello c
he i media non dicono"
L’incontro è fissato per le 9 del mattino del 6 settembre 2012. Ci viene confermata la disponibilità il giorno prima, anche se già da tempo sapevamo ci sarebbero state grandi probabilità di incontrare il Presidente siriano Bashar al-Assad. Ci portano in auto presso la sua residenza, nessun particolare controllo anzi, quando l’auto si ferma davanti a un edificio basso immerso nel verde, il Presidente siriano ci sta aspettando sulla porta. Non so se sia un atto di estrema cortesia o sia sua abitudine, sta di fatto che non veniamo sottoposti ad alcun controllo, infatti porto tranquillamente con me una borsa dentro cui ho telefoni accesi, videocamera e tablet. Trovare quell’uomo sull’uscio della porta ad accoglierci, con la mano tesa, senza neanche cinque minuti di anticamera, ci dà una strana sensazione. L’accoglienza è quella di un uomo che, all’apparenza, non teme per se stesso. E dire che alcuni mesi fa i media internazionali, o meglio occidentali, lo davano in fuga verso la Russia o altre mete. Dall’ingresso del Palazzo, ritengo luogo di visite e ricevimento, ci conduce lui stesso verso una sala limitrofa. Solo una porta divide l’ingresso dal nostro luogo d’incontro. La sala, di circa 40 metri quadri, è arredata con tre divani blu; nulla di sfarzoso, una scrivania con un Apple, schermo di almeno 24 pollici e un telefono. Alcune porte si affacciano su altre stanze ma sono chiuse. Il Presidente, in abito blu e scarpe lucide, ci fa accomodare e mi fa sedere sul divano accanto a lui. Dopo le presentazioni effettuate dai nostri accompagnatori – la deputata indipendente Maria Saadeh e il giornalista libanese Talal Khrais, responsabile relazioni estere di Assadakah – il Presidente ci dà il benvenuto, illustrandoci sinteticamente la situazione siriana. Spiego il motivo della nostra visita e lo ringrazio per averci concesso questo incontro. Non è certo facile in questo periodo incontrare Bashar Hafiz al-Assad, uno degli uomini più discussi in questa fase politica internazionale. Descritto dai media occidentali come un violento sanguinario che starebbe massacrando il suo popolo. Ai miei occhi appare un uomo timido, la sua esse sibilante, molto particolare, trasmette una sensazione di sicurezza. Il look molto occidentale lo fa apparire un uomo molto vicino alle nostre tradizioni. Nei tanti incontri avuti in questi anni con uomini politici mediorientali non avevo mai avuto una percezione così “occidentale” appunto nei modi del mio interlocutore di turno. Non si accende nelle parole, non alza la voce, usa spesso la tecnica delle similitudini per illustrarci la situazione in cui versa la sua Siria. “Se gli ottomani, in mille anni non sono riusciti a frammentare il nostro Paese, non ci riuscirà certo Erdögan”, dice. Nelle sue parole si legge un certo astio nei confronti del leader turco. La Turchia oggi viene vista in Siria – e il Presidente ci da conferma di ciò – come l’avamposto militare del complotto dell’Occidente nei confronti del Paese che dalla storia è considerato la culla della cultura. Dalla Turchia entrano jihadisti provenienti da tutto il mondo. I campi profughi costruiti al confine siriano accolgono al loro interno dei veri e propri campi di addestramento. Nell’incontro fatto il giorno precedente un prigioniero di nazionalità francese ma algerino, Jamel Amer al-Khodoud, ci aveva già confermato questa tesi. Infatti ha affermato di essere arrivato in Turchia, a Istanbul, in aereo dalla Francia, poi di essersi recato in un campo profughi, dove ha incontrato alcune persone che lo hanno condotto in un piccolo campo di addestramento dove gli è stato consegnato un fucile e insegnato per quindici giorni ‘a far la guerra’. Tutto questo perché mosso dal desiderio di difendere il popolo siriano dagli eccidi, ascoltando e indottrinato da al-Jazeera e al-Arabiya, seguendo le quali “ho capito che lì avevano bisogno di me. Ho lasciato tutto e sono partito”. Dei prigionieri incontrati c’era apparso l’unico convinto delle sue posizioni; il suo descrivere le cose e i fatti è permeato di un integralismo islamico profondo. E infatti pare non averne fatto partecipe neanche i suoi cari: “Non ho detto nulla alla mia famiglia, solo che partivo; mi è stato concesso di mandare un messaggio a mio figlio da qui, l’ho fatto per dire che stavo bene”. Ma torniamo ad Assad. In poche parole ci spiega cosa rappresenti oggi il suo Paese nella politica della regione e del mondo. “La Siria è l’architrave del Medio Oriente, è l’unica ancora di salvezza contro la deriva musulmana integralista che sta permeando molti stati”, dice. “L’Egitto è governato dai fratelli musulmani, come del resto Tunisia e Marocco, stessa sorte è toccata alla Libia. Il nostro modello di stato laico salvaguarda la pratica di tutte le religioni nel nostro Paese, dando pari dignità a tutti, che siano cristiani, musulmani, etc.”. Su questo modello di convivenza sociale batte il Presidente ed è quello che ci hanno confermato i vescovi cristiani incontrati, in particolare il vescovo di Homs (greco-ortodosso) George Tauma Abu Zakhem, scappato dalla sua città dopo aver assistito alla distruzione della sua diocesi e della sua chiesa. “I cristiani hanno accolto in questa terra i seguaci di Maometto, e oggi sono proprio i musulmani i primi difensori di noi cristiani. Chi uccide e distrugge i presidi cristiani, ora in nome di Allah commette un crimine contro la storia di questa terra, fatta di convivenza e tolleranza”. Assad ci dice: “Se cade la Siria, cade tutto il Medio Oriente e la deriva integralista metterà in pericolo tutto l’Occidente”. Il Presidente non riesce a spiegarsi il motivo per il quale l’Europa non capisca questo e che ragioni la spingano ad avere, per molti versi, posizioni più estreme degli Stati Uniti. “Il popolo siriano è unito e se fosse stato contro di me sarei caduto come Mubarak e Ben Alì, già da tempo”. L’Egitto aveva un esercito ben più grande di quello siriano e servizi di sicurezza molto più forti, però ha prevalso la volontà del popolo. Mostra sicurezza il giovane Presidente, la sicurezza di chi è convinto d’essere nel giusto, dalla parte della ragione. “Ho sentito tante persone in questi mesi, anche molti oppositori e ho chiesto loro quali riforme volessero: non ho ottenuto risposte. Quando avrò restituito sicurezza ai cittadini siriani saranno loro a scegliere come vorranno essere governati, ma non consentirò che una minoranza integralista, che vive nell’ignoranza, possa prevalere con la forza”. Si legge una grande apertura da parte di Assad, nessuna forma di accentramento, nessuna mania dittatoriale, si legge la volontà di rappresentare il popolo, i cittadini, quelli che lavorano, che producono, quelli che hanno bisogno. Ci parla anche dei poveri: “Sì, è vero, l’integralismo nasce anche dove ci sono sacche di povertà, lì attecchisce e si propaga. Quando la povertà si abbina all’ignoranza la propaganda jihadista si inserisce con più facilità”. C’è anche un mea culpa nelle parole del Presidente: “Dobbiamo occuparci più dei poveri, lo stato è in difficoltà finanziaria, colpa anche di una corruzione troppo forte, ma su questi temi mi voglio confrontare con tutti anche con quelli che oggi pensano di voler fare la rivoluzione”. “Questo è il terreno sul quale voglio confrontarmi”, afferma in modo accorato, “le riforme. Non consentirò che il terreno sia quello della prevaricazione integralista in nome di un Islam ignorante e vecchio”. Le parole del Presidente trovano conforto nel clima di unità (nazionale) che si riscontra nel paese, maggioranza e opposizione parlamentare sono convinte che prima di ogni altra cosa sia necessario salvare il paese e la sua unità nazionale. Un proposito che trova conferma negli incontri avuti con il presidente del Parlamento Jihad al-Laham e con i numerosi deputati indipendenti incontrati: dalla liberale cattolica Maria Saadeh, al curdo Omar Oussi, al deputato sunnita Wael al-Halaqi e al filo presidenziale del partito BAATH Wael al-Ghabra. Tutti convinti che prima di tutto sia indispensabile combattere l’integralismo e il terrorismo. Al-Qaida con tutte le sue derivazioni ed emanazioni non può prevalere in Siria, dicono tutti a gran voce. Il Presidente Assad continua dicendo: “Se qualcuno pensa che la Siria possa diventare un nuovo Afghanistan commette un grave errore; l’integralismo non si importa ma non può neanche diventare la sommatoria di piccoli califfati come vorrebbe l’emiro del Qatar Hamad Bin Khalifa al-Thani e il re dell’Arabia Saudita Abdullah. Regnanti che parlano di libertà e democrazia per la Siria, ma che nei loro paesi non hanno neanche una costituzione”. Concetto questo che viene ribadito anche dal presidente del Parlamento con toni più accesi e forti rispetto a quelli di Assad. Lui, in tutta la nostra chiacchierata, che dura circa un’ora, non cade mai negli eccessi non si accende, argomenta, motiva, ma soprattutto ci invita a vedere e osservare e parlare con la gente. “Qui sono venuti tanti giornalisti, in principio concedevo interviste a tutti, poi mi sono reso conto che travisavano le mie parole, usavano i montaggi delle mie interviste per farmi dire cose che, decontestualizzate, non rappresentavano il contenuto del mio discorso. Allora ho deciso di limitare i miei interventi, esiste una campagna demagogica e strumentale dell’Occidente e delle emittenti del Golfo nei nostri confronti che è figlia solo della logica dell’interesse e non della ricerca della verità. Molti giornalisti non vogliono vedere la realtà, non vogliono raccontare la verità, esiste un complotto contro la Siria”. Quando gli chiediamo cosa intende fare o cosa si può fare per superare questa fase, lui risponde con grande fermezza: “Ci vuole, sempre di più, il dialogo, all’interno e con l’esterno: ecco perché vedo con molto favore che parlamentari siriani vengano in Italia a incontrare parlamentari italiani e spiegare e far capire cosa è la Siria, cosa rappresenta in Medio Oriente. Se il Parlamento deciderà di organizzare una missione di questo tipo ne sarò felice.” La visita si conclude con le fotografie di rito. Un Assad sorridente e scherzoso che ci riaccompagna sino alla porta d’ingresso e ci invita a tornare in Siria. “Qui siete sempre i benvenuti, siate la nostra finestra in Italia”.
Raimondo Schiavone
Submitted by Anonimo on Sat, 04/05/2013 - 12:15