Bahrain: torna il GP di F1, cresce la repressione


NEWS_126701La polizia di re Hamad bin Isa al Khalifa ha lanciato una campagna di arresti di oppositori in citta' e villaggi in anticipo sul GP di Formula Uno

di Michele Giorgio

Roma, 11 aprile 2013, Nena News - Yousef Al Muhafedha, del Centro del Bahrain per i Diritti Umani, parla in fretta, desidera riferire tutto ciò che ha registrato nelle ultime ore. «E' in corso un'ondata di arresti in tutto il Bahrain - esordisce rispondendo alle nostre domande - almeno 50 persone sono finite in manette in vari villaggi, le ultime 20 a Sitra. La polizia ha fatto irruzione in decine di case, durante la notte, per intimidire e lanciare avvertimenti prima del Gran Premio di Formula Uno. La retata prosegue mentre noi parliano al telefono».

Per il secondo anno consecutivo la monarchia assoluta di Re Hamad bin Issa al Khalifa fa di tutto per impedire che l'opposizione possa "turbare" lo svolgimento del Gran Premio di Sakhir, la vetrina del Bahrain. E per il secondo anno consecutivo il circo della Formula Uno, dalla Ferrari alla Red Bull, finge di non sapere che in Bahrain sono negati diritti fondamentali, che la repressione ha fatto molte decine di morti e che nelle carceri ci sono attivisti che hanno soltanto chiesto riforme e uguaglianza tra tutti i cittadini. E se nel 2012, anche se solo per qualche giorno, ci fu qualche esitazione prima del Gran Premio, quest'anno tutto tace.

«Lo sport è un'altra cosa» e non deve essere coinvolto in questioni politiche, commentò qualche pilota lo scorso anno. Sono rimaste scolpite nella memoria di molti le parole di Nico Hulkenberg, driver nel 2012 della "Force India". «Non è giusto, siamo qui solo per correre e certe cose non dovrebbero accadere», disse Hulkenberg dopo che quattro membri della sua scuderia erano rimasti coinvolti in scontri tra dimostranti e polizia. Il pilota avrebbe dovuto indirizzare le sue critiche nei confronti del patron della Formula Uno Bernie Ecclestone che non rinuncerebbe mai al Gp in Bahrain. Gli affari vengono prima di tutto, i diritti dei popoli oppressi molto dopo. E tacciono anche gli Stati Uniti che nel Bahrain hanno la base della loro V Flotta.

Eppure la situazione in questo piccolo arcipelago del Golfo resta drammatica a poco più di due anni dalle proteste di Piazza della Perla represse nel sangue dalla polizia del re, con l'aiuto di truppe saudite e di agenti speciali degli Emirati. A poco o a nulla è servito il «dialogo nazionale» avviato nei mesi scorsi dalla monarchia con la parte più moderata dell'opposizione. Anzi, sottolineano gli attivisti della rivolta più giovani, il dialogo si sta trasformando in una copertura per il regime di fronte all'opinione pubblica internazionale.

Le denunce fatte da Yousef Al Muhafedha hanno trovato una immediata conferma nel comunicato diffuso ieri da Human Rights Watch. «Questa nuova ondata di arresti e il modo in cui viene condotta sollevano nuovi interrogativi sulla reale intenzione delle autorità del Bahrain di procedere sulla strada delle riforme», ha scritto Sarah Leah Whitson, responsabile per il Medio Oriente di HRW. Dal primo aprile, aggiunge l'attivista dei diritti umani, la polizia ha effettuato 30 raid a Dar Khulaib, Shahrakan, Madinat, Hamad e Karzakkan, villaggi e cittadine situate a breve distanza dal circuito di Sakhir. E non possono passare inosservate anche le pesanti condanne al carcere inflitte nei confronti di minorenni, processati assieme agli adulti, come denuncia un altro importante centro per i diritti umani, Amnesty International. Il 4 aprile Ibrahim al-Moqdad, 15 anni, e Jehad Salman, 16 anni, sono stati condannati a 10 anni di carcere dall'Alta Corte di Manama con l'accusa di tentato omicidio e di aver dato fuoco ad un'automobile.

Restano nel frattempo in prigione tre noti attivisti dei diritti umani del Bahrain: Nabil Rajab, Abdulhadi al Khawaja e sua figlia Zainab al Khawaja. Quest'ultima, una blogger molto nota (@angryarabiya), ha osservato un lungo lungo sciopero della fame in cella, che ha interrotto tre giorni fa. Dal carcere Zainab di recente ha scritto una lettera sulla figura e l'impegno di Martin Luther King, suo ispiratore, rivolta in particolare agli Stati Uniti alleati di re Hamad. «Nella cella sovraffollata e sporca dove vivo, sento le parole di questo grande leader americano, la cui inflessibile dedizione alla moralità e la giustizia ne fecero il grande leader che era. Ammiro la sua saggezza e mi chiedo se anche il popolo degli Stati Uniti sia all'ascolto».




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