(di Elisa Pinna – Ansa)
ROMA – “Temo che il terrorismo islamico colpirà ancora l’Europa, non si fermerà solo a Parigi. Noi siriani conosciamo bene la sua pericolosità”. A parlare, in un’intervista all’ANSA, è Diana Jabbour , responsabile della produzione televisiva e cinematografica in Siria, che domani a Montecitorio parteciperà ad una conferenza organizzata dalla e presenterà una richiesta molto precisa ad un gruppo di parlamentari italiani. “Occorre che Italia e Siria ripristino i rapporti diplomatici, senza pregiudizi. E’ stato un errore averli interrotti, perché la mancanza di informazioni sull’altro non aiuta la causa della giustizia e della pace”.
Jabbour da dieci anni dirige il sistema cine-televisivo in Siria, e non esita ad ammettere che purtroppo la “guerra mediatica” è stata persa dal governo di Damasco: “vi è stato un boicottaggio totale verso i media siriani. Basti pensare che il canale televisivo siriano è stato rimosso dalle piattaforme satellitari europee e arabe”. Nel frattempo – aggiunge – “i media occidentali diffondevano una propaganda pilotata e anche sovvenzionata da alcuni paesi fondamentalisti della regione su ciò che stava succedendo in Siria” e “le voci fuori del coro erano rare”. “Non è credibile – osserva- che il nemico di tutto il mondo sia Assad, mentre l’Occidente si appoggia a regimi estremisti, wahabiti, dove la gente viene decapitata, esattamente come accade nel Califfato”. “Ed è paradossale – sottolinea – che questi regimi siano chiamati a discettare sulla democrazia in Siria”. “Io chiedo ai giornalisti occidentali di venire nel nostro Paese, di guardare con i loro occhi e poi di scrivere ciò che vogliono. Non è giusto che basino la loro informazione su siti che non stanno nemmeno in Siria e che diffondono propaganda falsa”, afferma.
All’interno della Siria, la tv nazionale raggiunge le aree controllate dai jihadisti, ma la gente non può vederla, pena la morte. “dieci giorni fa a Raqqa una donna è stata lapidata e uccisa perché accusata di essersi connessa a Internet”, riferisce Diana Jabbour. “I miliziani dell’Isis – commenta – non combattono in realtà contro un certo tipo di regime, ma contro una cultura ed è per questo che, oltre a distruggere i siti archeologici e la nostra memoria, attaccano spesso set e troupe televisive”. “In ciò – spiega – cerchiamo di contrastarli continuando nella nostra produzione”. La guerra ha costretto a dimezzare l’attività, e “da 60 serie televisive del 2010 si è passati adesso ad una trentina”. “Ma l’importante è continuare a girare, a fare cultura”. Una delle serie più popolari si chiama “Haraer” , un termine islamico molto usato dall’Isis per definire il ruolo della donna nella società. “Ecco, noi in questa serie rappresentiamo le vere donne siriane , quelle che hanno combattuto per l’indipendenza nazionale contro i turchi e i francesi, che hanno fondato scuole e giornali. Le donne laiche e libere”. Sulla possibilità di ricostruire la Siria, Diana Jabbout non ha perso la speranza: “17-18 milioni di persone sono rimaste nel Paese”. “Il problema però non sono solo le macerie materiali. Occorre ricostruire un patto civile e laico, che unisca i siriani. Il processo di riconciliazione sarà lungo, ma i siriani lo vogliono. Occorre una transizione che permetta di ricostruire un tessuto civile “. Il fatto che a Vienna ci fossero le potenze del mondo e della regione, ma non i siriani, “fa capire quanto la guerra sia stata pilotata dall’esterno. E dall’esterno deve cessare innanzitutto il rifornimento di armi e di soldi ai jihadisti”. “Quanto ad Assad, io non so cosa lui abbia in mente di fare, se ricandidarsi oppure no. Ma come cittadina siriana non voglio che nessuno decida al mio posto. Ci deve essere uno sforzo internazionale per arrivare a elezioni libere, dove i siriani possano eleggere i loro rappresentati”.
Inviato da Anonimo il Lun, 23/11/2015 - 16:05