II Meeting Internazionale delle politiche Mediterraneo a Cagliari. Politici, analisti, giornalisti e studiosi tutti d’accordo: ISIS nasce per colpa dell’Occidente, la guerra ad Assad ha prodotto solo mostri. L’Islam non c’entra nulla con i tagliatori di teste. Una sessione dedicata al genocidio armeno e alla condizione dei cristiani in Medio Oriente.
Due giorni intensi di dibattiti sui temi caldi della politica estera. Se ne è parlato a Cagliari nel corso del II Meeting Internazionale delle politiche del Mediterraneo – organizzato dal Centro Italo Arabo Assadakah - alla presenza di esponenti politici arabi, italiani, studiosi, analisti e importanti reporter di guerra come Gian Micalessin, Alberto Negri e Talal Khrais. Al centro del dibattito il Medio Oriente, i conflitti in Siria e Iraq, la guerra all’ISIS, il ruolo della Turchia nella regione, la irrisolta questione palestinese e il futuro del Mediterraneo a seguito delle cosiddette primavere arabe.
Sul terrorismo dello Stato Islamico si sono concentrati in particolare due importanti esponenti politici del mondo arabo: il siriano Mahdi Dahalala, ex ministro dell’informazione della Siria, molto vicino al presidente Bashar al –Assad, e Ali Fayad, deputato libanese di Hezbollah e membro della direzione politica del partito sciita libanese. Entrambi si sono trovati d’accordo su un punto: “I terroristi dell’ISIS non hanno nulla a che fare con l’Islam, perché le prime vittime delle loro azioni sono proprio i musulmani, dai sunniti agli sciiti. Questa non è una guerra di religione”.
Per Dahlala, l’ISIS è stato creato e sostenuto dai paesi che ora dicono di volerlo combattere: “L’Occidente e i paesi del Golfo hanno una grande responsabilità, hanno colpito il paese più laico tra i paesi arabi lasciando le porte aperte al fondamentalismo islamico. La Siria aveva persino un ministro cristiano per gli affari islamici e la maggior parte dei membri del governo era espressione delle varie minoranze. La finta rivoluzione ha bloccato il processo di democratizzazione e le riforme che Assad aveva messo in campo”.
Ali Fayad ha ricordato come Hezbollah agisca al fianco di Assad “per difendere la stabilità e la sicurezza del paese”. Intervenire al fianco di Damasco significa anche combattere il terrorismo dell’ISIS e difendere l’idea di un Islam tollerante e dialogante con le altre religioni. “Noi siamo in Siria – ha concluso il deputato di Hezbollah – perché i terroristi vogliono colpire il Libano e farlo diventare parte del loro Califfato”.
A Cagliari è intervenuta anche l’ex parlamentare Yomn Elhamaky, importante economista egiziana, che ha ricordato come l’avvento dei Fratelli Musulmani e dell’ex presidente Morsi abbia condotto il suo paese verso una crisi economica gravissima. Anche per l’economista egiziana l’ISIS è oggi il vero nemico dell’Islam: “L’ideologia dei terroristi non c’entra nulla con la religione. Sono portatori di odio e di violenza e bisogna combattere in tutti i modi il loro estremismo”.
Tutti temi ripresi anche nella sessione dedicata all’informazione nelle aree di crisi. In collegamento dalla Siria, il giornalista Gian Micalessin, inviato de Il Giornale e di Rainews, ha parlato della condizione in cui si trova la città di Aleppo, nel nord del paese, assediata da anni dai cosiddetti ribelli. Un assedio rotto di recente grazie all’intervento dell’esercito siriano. La situazione in città rimane gravissima e la necessità di aiuti umanitari dall’Europa si fa sempre più urgente. Micalessin ha ricordato la condizione dei cristiani in Siria, minacciati dalla furia dell’ISIS: innumerevoli i villaggi distrutti dai terroristi e le atrocità commesse nei confronti nei loro confronti. Micalessin ha parlato anche della città di Qamishli abitata da curdi e da minoranze siriaco-cattoliche e di Sharmuk Koli dove le milizie curde siriane combattono contro l'avanzata dei jihadisti.
Alberto Negri, inviato speciale de Il Sole 24 Ore, un giornalista con una grande esperienza internazionale, ha parlato di “una guerra per procura” nei confronti della Siria, una guerra orchestrata dall’esterno da paesi come Arabia Saudita e Qatar ai quali va la responsabilità di aver armato e finanziato i “gruppi terroristi che non vogliono certo la democrazia in Siria”. Oggi la Turchia è responsabile di fare lo stesso, non solo facendo transitare i miliziani dell’ISIS – spesso dopo averli addestrati - dai suoi confini ma anche finanziandolo grazie al petrolio che produce e commercializza. Negri ha accusato i media nazionali di aver dato un’informazione parziale sulla guerra in Siria e poi in Iraq e di essersi accorti dell’ISIS con “preoccupante” ritardo. Il reporter de Il Sole 24 Ore ha criticato la politica degli Stati Uniti e dell’Europa, entrambi responsabili di voler abbattere a tutti i costi il regime di Assad senza tener conto delle gravissime conseguenze che essa potrebbe avere sugli equilibri regionali.
Al dibattito con i giornalisti ha partecipato anche il direttore della Tv satellitare di Hezbollah, Ibrahim Farhat, che ha ricordato come la sua emittente abbia un obbligo morale nei confronti dei telespettatori perché è impegnata a smontare le menzogne dell’occidente e di altri stati arabi che hanno mentito sull’ISIS e su quanto sta accadendo sia in Libano che in Siria.
Una sessione del Meeting è stata dedicata al genocidio armeno, il cui centenario ricorrerà l’anno prossimo. Il Centro Italo Arabo ha chiesto che il 2015 sia proclamato anno della memoria e della coscienza e per questa ragione ha scritto al Parlamento Europeo e alle Nazioni Unite. Dure critiche sono state rivolte alla Turchia che non ha mai riconosciuto questo crimine, e all’Azerbaijan, uno stato che porta avanti una politica molto aggressiva nei confronti dell’Armenia. Sargis Ghazaryan, giovane ambasciatore della Repubblica d’Armenia in Italia, è stato categorico: “La negazione è l’ultimo atto di un genocidio, la demonizzazione è il primo”.
Ankara, in particolare, è stata accusata di negare un crimine che i libri di storia oramai certificano come il primo genocidio dell’era moderna, di farlo con tutti i mezzi a disposizioni, con il disprezzo tipico di non voler riconoscere di essere stato l’artefice di un massacro che produce degli effetti ancora oggi. Ne sono un esempio anche le chiese e i monasteri chiusi, luoghi di culto sbarrati a chiunque, perché l’intento è di nascondere la verità e di impedire che le persone ne possano parlare.
Il giornalista libanese Talal Khrais ha sottolineato come il villaggio armeno di Kessab, in Siria, sia stato attaccato e svuotato dai gruppi jihadisti con la complicità della Turchia. Centinaia di famiglie di origine armena sono state costrette ad abbandonare le proprie case e i luoghi di culto cristiani sono stati devastati. Dopo una dura battaglia, l’esercito arabo siriano ha liberato il villaggio e la popolazione è ritornata finalmente a condurre una vita normale. Come cento anni fa, anche questa volta i turchi hanno giocato un ruolo decisivo.
Sarà per questo che l’ambasciata turca in Italia ha inviato una comunicazione riservata al sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, per invitarlo a non prendere parte alla sessione dedicata dal genocidio. Una richiesta non accolta dal primo cittadino del capoluogo sardo che ha ricordato come la pacificazione tra i popoli passi necessariamente attraverso il riconoscimento delle proprie responsabilità, soprattutto quando hanno a che fare con i crimini contro l’umanità.
Il Centro Italo Arabo sarà impegnato anche su un altro fronte: la scrittura di un libro con le straordinarie testimonianze di tre sopravvissuti del genocidio. Un racconto che rappresenta un ponte tra il passato e il futuro, una cerniera che unisce la memoria individuale con la coscienza collettiva del popolo. Un progetto, hanno rilevato il segretario generale Raimondo Schiavone e il giornalista Alessandro Aramu, che non potrà fare a meno di evidenziare l’attuale condizione di vita dei cristiani in Medio Oriente e le persecuzioni che gli armeni subiscono ancora oggi in Siria per mano dei terroristi dell’ISIS e dei miliziani di al Nusra
Inviato da Anonimo il Lun, 03/11/2014 - 14:03