(Unione Sarda) Il popolo armeno ricorda quel terribile 1915 « M ia madre quella mattina vide sul ponte centinaia di uomini allineati l'uno di fronte all'altro. Poi i soldati gli spararono. I turchi presero gli abiti e gli oggetti di valore, afferrarono i corpi per mani e braccia e li gettarono nel fiume. Continuarono con gli uomini di Mush così, fino al calare della notte».
Mayereni Kaloustian aveva 88 anni quando nel 1992 Robert Fisk, decano dei corrispondenti dal Vicino Oriente, la intervistò nella casa di cura per ciechi a Beirut. Nel 1915 Mush era un piccolo centro nella periferia dell'immenso impero ottomano, governato dai Giovani turchi e impegnato al fianco di Austria-Ungheria e Germania nel primo conflitto mondiale. Oggi è una città di confine della giovane repubblica armena nata con la dissoluzione dell'Urss. Il padre della piccola Mayereni si trovava sul ponte quella mattina. Nel 1915 le forze dell'Intesa, Francia e Russia zarista in particolare, avevano cominciato a reclutare e finanziare soldati armeni presenti in territorio ottomano. Pretesto perfetto per il rilascio di un odio profondo e antico. Furono almeno un milione e mezzo gli armeni cristiani sterminati. Il primo genocidio organizzato della storia. Un orrore che stenta a essere riconosciuto.
«È stata un'elaborazione del lutto collettiva, resa ancora più silenziosa dal mancato riconoscimento da parte della comunità internazionale», spiega Sargis Ghazaryan, ambasciatore della Repubblica d'Armenia in Italia intervenuto martedì sera a Cagliari durante il convegno “Genocidio del popolo armeno: 2015 anno della memoria”, aula magna della facoltà di Economia.
Un oblio dalle fattezze particolari. Già il 7 ottobre 1915 il New York Times raccoglie i primi dispacci titolando “800.000 armeni distrutti”. Nel 1919 si svolge a Istanbul un processo che individua e condanna in contumacia i responsabili politici dell'eccidio. «Tutto stava andando bene. Poi la repubblica di Ataturk diventa l'avamposto di un' Europa terrorizzata dalla vittoria del comunismo in Russia. È così che s'impone il negazionismo sul genocidio armeno», continua Ghazaryan. Per questo il Centro Italo Arabo Assadakah, organizzatore del convegno, ha deciso di depositare nelle sedi competenti di Comunità Europea e Onu una petizione perché a partire dal centenario dell'anno prossimo il 24 aprile, data d'inizio canonica dello sterminio, diventi giornata ufficiale della memoria. Istanza cui continua a opporsi la Turchia autoritaria di Erdogan, sebbene rappresenti una delle precondizioni richieste da Bruxelles per l'inclusione nella comunità continentale. Turchia che, sostiene Raimondo Schiavone, segretario nazionale di Assadakah, «mostra sempre più la sua aggressività negli affari dei paesi confinanti, sostenendo direttamente i gruppi terroristici, come accade in Siria» dove, aggiunge Talal Khrais, giornalista libanese con una lunga esperienza sul campo di battaglia siriano «al- Nusra e l'Isis perseguitano sistematicamente le comunità cristiane».
«Il governo deve affrontare queste nuove sfide in una posizione favorevole al dialogo», afferma con la tradizionale equidistanza della politica estera nostrana il senatore Pd Ignazio Angioni. Ambiguità che non vale per il genocidio: «L'Italia lo ha riconosciuto nel 2002» ricorda l'ambasciatore Ghazaryan, sicuro nell'individuare la svolta nel rapporto armeno-turco: «Bisogna ripartire dai protocolli del 2009, silurati il giorno dopo la firma da Erdogan. Sarà tutto superato solo quando l'aggettivo armeno, in Turchia, non costituirà più un insulto».
Luca Foschi
Inviato da Anonimo il Gio, 19/06/2014 - 10:16