Intervista ad Alessandro Aramu sul nuovo giornale Papaboy 3.0
“Ginevra 2 è fallita per colpa dei governi occidentali, Stati Uniti e Gran Bretagna in testa, che continuano a sponsorizzare un’opposizione che rappresenta la minoranza del popolo siriano. Un’opposizione che ha perso credibilità perché combatte al fianco dei terroristi di al Qaeda e dei gruppi jihadisti che stanno insanguinando il paese e, di fatto, minano la stabilità di tutta la regione. Questi gruppi oggi hanno preso il sopravvento militare sui cosiddetti “ribelli moderati” filo occidentali. In questa situazione, il presidente siriano Bashar al Assad continua a essere l’unico baluardo a difesa del suo popolo e della sovranità di uno Stato minacciato dall’esterno. Solo i siriani possono decidere se Assad dovrà farsi da parte e non certo una conferenza organizzata da chi arma i terroristi e massacra le minoranze etniche e religiose presenti nel paese”. È quanto afferma il giornalista Alessandro Aramu, uno degli autori del libro “Syria, quello che i media non dicono” (Arkadia Editore), un saggio che analizza in modo preciso gli antefatti e gli sviluppi di una vicenda che i mass media occidentali, supportati dalle testate giornalistiche del Golfo Persico, hanno mistificato e trasmesso all’opinione pubblica in modo distorto.
In questi giorni, come ha ricordato, si sente l’eco di Ginevra 2. La conferenza non ha portato risultati importanti. Ci può spiegare l’iter del vertice e i suoi obiettivi? L’obiettivo del vertice era quello di far sedere intorno a un tavolo i rappresentanti del Governo siriano e quelli dell’opposizione moderata per porre fine a un conflitto che si protrae da quasi 3 anni. Un vertice nato male perché il vero obiettivo dell’opposizione è la nascita di un governo di transizione senza la presenza del presidente legittimo Bashar al-Assad. Una condizione inaccettabile avvallata purtroppo dalle Monarchie del Golfo, dall’Europa e dagli Stati Uniti che non hanno una posizione neutrale in questa vicenda. Il cessate il fuoco impone il riconoscimento reciproco: l’opposizione, con il suo atteggiamento, ha fatto venire meno la prima condizione per poter dialogare. Bene ha fatto il governo a non indietreggiare davanti a richieste assurde che minano la sovranità e l’indipendenza della Siria. L’iter di Ginevra 2 è stato travagliato in primo luogo per questa ragione.
Che cosa pensa dell’opposizione che ha partecipato a Ginevra 2? L’opposizione è frantumata in mille galassie, sia dal punto di vista politico che militare. Difficile dunque trovare un interlocutore con il quale condividere un percorso di pace e di dialogo. Si assiste a una guerra di potere tra fazioni che hanno un solo obiettivo: la destituzione di Assad. Questi gruppi sono gli stessi che vogliono spartirsi la Siria e non esitano a combattersi tra di loro pur di avere una fetta di potere, spesso frutto di corruzione e violenza. Diciamolo: la rivoluzione, se mai è esistita, è fallita e quel che rimane sono gruppi di banditi inaffidabili e poco rassicuranti per la pace in Siria e in Medio Oriente. Lo stesso termine “ribelli”, che io stesso uso per semplificazione giornalistica, è sbagliato. Forse all’inizio del conflitto si potevano chiamare così, oggi non più. Per quanto riguarda il Consiglio Nazionale Siriano è composto da persone che non fanno niente per il popolo siriano. Vivono in paesi stranieri, abitano in hotel a cinque stelle, hanno i loro interessi e non hanno alcun controllo sui gruppi armati in Siria, tantomeno vogliono la pace.
La confusione generata dalla guerra ha aperto nuovi fronti di riflessione. I ribelli non sono più identificati con coloro che vogliono la destituzione del governo siriano, ma con gruppi terroristici-fondamentalisti, desiderosi soltanto di conquistare il potere per instaurare lo Stato Islamico del Sol Levante. E’ un’esatta interpretazione? E’ proprio così. Sul campo militare i gruppi jihadisti hanno preso il sopravvento sui cosiddetti ribelli filo occidentali. I gruppi della galassia di al Qaeda, finanziati principalmente da Qatar e Arabia Saudita, controllano oramai alcune aree del paese, in particolare quelle del nord est a confine con l’Iraq. E, come se non bastasse, tra gli stessi jihadisti si sono aperti fronti di guerra per il controllo di alcune porzioni di territorio. Questi gruppi sono il vero pericolo per la stabilità della Siria e tutta la regione. E sono un pericolo per l’Europa perché molti di loro arrivano proprio dal vecchio continente. È di qualche giorno fa l’allarme dell’agenzia di intelligence MI5 e della polizia britannica che parlano di circa 250 “turisti dell’estremismo’ che hanno fatto ritorno in Gran Bretagna dopo avere combattuto in Siria nelle fila dei vari gruppi che si oppongono al regime di Bashar Al Assad. Secondo alcune intercettazioni, tra di loro vi sono elementi pronti a organizzare un attacco in ‘stile Mumbai’, da mettere in atto a Londra.
La Siria è stata da sempre terra di convivenza pacifica tra le culture e le religioni. Ora sembra prevalere con l’appoggio delle potenze internazionali e confinanti, un’impostazione totalmente diversa. I gruppi islamici radicali, a partire dai salafiti, non tollerano alcuna differenza culturale e religiosa. Per questa ragione i terroristi, rozzi e ignoranti, stanno tentando di distruggere i simboli del paese, a partire dal patrimonio archeologico, uno dei più importanti del mondo. Cancellando le radici culturali siriane, pensano di poter imporre una nuova civiltà basata su un’interpretazione del Corano del tutto sbagliata. Ma la storia di convivenza della Siria non può essere cancellata dai questi barbari. Così come è accaduto con i talebani in Afghanistan, anche in Siria assistiamo a una progressiva eliminazione delle minoranze da parte dei gruppi estremisti. I cristiani sono i primi a essere finiti nel mirino. Oggi assistiamo a un vero massacro di questa componente religiosa: o ci si converte all’Islam o si muore. Nella migliore delle ipotesi si è costretti a lasciare i propri villaggi, saccheggiati, distrutti e profanati nei luoghi sacri. Questo è accaduto e accade nel silenzio generale. La stampa parlava dei massacri, veri o presunti di Assad, e taceva in modo ignobile sul genocidio dei cristiani siriani. L’Occidente di Obama, Cameron e Hollande è corresponsabile di questo massacro. Per questo, con croce tatuata sul braccio e kalashnikov a tracolla, hanno deciso di difendersi armi in pugno contro gli estremisti islamici ispirati da Al Qaida, che vogliono far nascere un Califfato e cancellare la presenza millenaria di Cristo.
I media giocano un ruolo importante. Possiamo affermare senza particolari dubbi, che i mezzi di comunicazione invece di aiutare il popolo siriano a riacquistare la pace, tendono a mostrare un volto diverso dalla realtà, appoggiando la politica delle organizzazioni internazionali. È così? Raccontare la guerra di Siria in modo arbitrario corrisponde a una precisa strategia che i media di massa hanno abilmente orchestrato sin dagli inizi delle tensioni. Per quasi 2 anni si è taciuto in modo sistematico sulle stragi commesse dalle milizie anti Assad e sul fatto che quella “pseudo rivoluzione” avesse ben poco di democratico. Oggi i combattenti sono per la maggior parte terroristi affiliati ad al Qaeda o alla galassia jhiadista, che fa delle stragi la propria strategia militare. Pilastro di questa strategia mediatica è stata la tv satellitare al-Jazeera. Nel libro “Syria” viene dedicato uno spazio ai più marchiani casi di manipolazione mediatica orditi da questa emittente satellitare, per nulla disinteressata a ciò che avviene in Siria. È ormai un segreto di pulcinella, d’altronde, che ingenti rifornimenti di armi e danaro giungano ai ribelli dalle ricche fonti del Qatar, che di al-Jazeera è proprietario. Non stupisce, quindi, la disinvoltura con cui quest’emittente ha pubblicato vere e proprie bufale pur di diffamare l’esercito siriano.
Negli ultimi giorni, sono giunte notizie allarmanti. Al confine con il Libano e la Giordania, sono stati segnalate operazioni militari americane. Si sta forse preparando come la Libia il corridoio umanitario per poi attaccare militarmente la Siria? Queste operazioni esistono da tempo. La Siria è nella morsa delle operazioni militari occidentali in Turchia, Giordania e Israele. Sul campo è pieno di uomini delle agenzie di intelligence americane ed europee che lavorano fianco a fianco con l’opposizione militare ad Assad. Lo stesso vale per il Libano, dal cui confine sono entrate armi e uomini di supporto ai gruppi armati che vogliono destituire Assad. La Siria è uno di quegli Stati che lo stesso Bush, dopo l’11 settembre, aveva indicato come un possibile obiettivo militare degli Stati Uniti. La Siria non è la Libia però. Obama lo sa bene ed è per questo che si guarda bene dall’attaccare Damasco. Alla prima bomba americana si scatenerebbe una guerra che coinvolgerebbe un po’ tutti: Libano, Israele, Turchia, Iran, Giordania e Iraq. Alla prima bomba americana, la Russia farebbe valere il proprio peso militare e politico a livello internazionale. La Siria non è la Libia, Assad non è Gheddafi. Il corridoio umanitario si chiama così perché serve a salvare le vite umane e a mettere al sicuro la popolazione non a causare altra distruzione e a preparare una nuova guerra.
Tra mille difficoltà, l’Esercito Siriano conquista città e villaggi in mano ai fondamentalisti, i quali tante volte usano bambini e donne come scudi per proteggersi. Perché le forze Armate non sono sostenute nell’opera di bonifica del terrorismo? La risposta è semplice: all’Onu, agli Usa e all’Europa non interessa la pace in Siria e la fine del conflitto come obiettivo immediato da raggiungere. Vogliono prima di tutto la caduta del presidente Assad. Per raggiungere questo risultato sono disposti a tutto, anche a finanziare i terroristi o a lasciargli campo libero dal punto di vista militare. Le cose però non stanno andando come si aspettavano.
I cosiddetti “combattenti per la libertà” in Siria entrano dalla Turchia, dal Libano e dalla Giordania, e provengono da paesi europei ed orientali. Cosa li spinge ad appoggiare la guerra contro il popolo siriano? Sono mercenari che combattono per i soldi o per potere. Soltanto una minima parte è arrivata in Siria per combattere per “la fede pura” o perché gli è stato promesso il trasferimento momentaneo in paradiso e la cena con il Profeta. Molti arrivano dal nord Africa. La maggior parte dei guerriglieri sono componenti di gruppi terroristici che hanno basi ben attrezzate in Tunisia (Ansar al-Sharia e Al-Tayar al-Salafi) o in Libia. Gli istruttori sono membri di Al-Qaeda, arrivati dalla vicina Algeria. Il quadro è inquietante.
Qual è il ruolo della Turchia, del Libano, della Giordania, dell’Arabia Saudita e del Qatar nella distruzione della sovranità del popolo siriano? Finanziano, in vario modo, le milizie che combattono in Siria contro Assad. E non solo loro. Non dimentichiamoci degli Stati Uniti e dell’Europa. Non basterebbe un saggio per spiegare la portata di un’attività che invia tonnellate di armi e miliardi di dollari verso quel territorio, con il solo obiettivo di sconfiggere militarmente l’esercito siriano. Soldi e armi, dunque. E poi ancora supporto logistico, invio di migliaia di guerrieri sul campo e di uomini dei servizi segreti destinati a scardinare dall’interno la sicurezza di uno stato sovrano.
Cosa c’è da attendersi per il futuro? La guerra durerà ancora a lungo. Almeno fino a quando Arabia Saudita e Qatar continueranno a finanziare i terroristi di al Qaeda e i gruppi più radicali. Bashar al Assad prosegue la sua strategia sul terreno: conquisterà totalmente il nucleo più fertile e abitato del Paese, da Damasco ad Aleppo, dal confine con la Giordania al Mediterraneo, lascerà il nord ai curdi e agevolerà la nascita di uno Stato o di una zona cuscinetto autonoma al confine con Turchia e Iraq. Almeno in un primo momento, Assad lascerà l’est alle milizie islamiste legate ad Al Qaeda, che terrorizzano la popolazione e fuggono in cerca di luoghi più sicuri. Le forze ribelli filo-occidentali sono invece sempre più deboli e sono destinate alla sconfitta dal punto di vista politico e militare. Assad vincerà le prossime elezioni presidenziali e, insieme alle altre componenti politiche siriane, avvierà un’imponente stagione di riforme. Della partita faranno parte anche alcune componenti del mondo sunnita, quelle che oggi riconoscono ad Assad il ruolo di vero difensore della laicità dello Stato e di baluardo contro il terrorismo. Come dice la deputata cristiana Maria Saadeh, “una cosa è lo Stato siriano una cosa è il regime”. La maggioranza dei siriani in questo momento non vuole un cambio del governo perché questo è l’unico che può garantire la sopravvivenza dello Stato. Con buona pace di Stati Uniti ed Europa.a cura di Francis Marrash
Inviato da Anonimo il Gio, 20/02/2014 - 09:45