Incontro tra Papa Francesco e Putin. Intervista a Dario Citati, Direttore di "Eurasia"


Pope Francis meets Russia's President Vladimir Putin during a private audience at the Vatican

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Zenit.org "L'incontro tra papa Francesco e Putin è stato un grande successo politico e diplomatico"

Intervista a Dario Citati, direttore del Programma di ricerca "Eurasia" dell'IsAG. Con lui abbiamo parlato anche delle scelte di Mosca sui temi etici e della crescita del Cristianesimo in Russia

PARTE PRIMA
Roma, 22 Gennaio 2014 Federico Cenci

È un episodio di rilievo storico quello che si è consumato lo scorso 25 novembre in Vaticano. Se la visita di un Presidente russo al Romano Pontefice non costituisce una novità, assume tuttavia profondo valore simbolico il fatto che un nuovo Papa abbia incontrato il capo di Stato della Russia prima di quello degli Stati Uniti. Nell’attuale quadro geopolitico, del resto, appare evidente come la “Terza Roma” abbia sopravanzato il governo statunitense in merito a questioni di stretto interesse vaticano.

Il comune impegno per risolvere pacificamente la crisi siriana, nonché la cooperazione per difendere la libertà religiosa ed affermare i valori etici e morali nella società, sono oggi, tra Russia e Santa Sede, “il più fecondo terreno d’incontro”. È quanto ritiene Dario Citati, Direttore del Programma di ricerca “Eurasia” dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG). Lo abbiamo intervistato per approfondire la questione dei rapporti tra Santa Sede e Mosca, per capire le scelte del governo russo in materia di temi etici e per analizzare la straordinaria crescita del Cristianesimo in Russia a vent’anni dalla caduta del comunismo.

La Russia è l’unico Paese industrializzato dove la popolazione che si dichiara credente aumenta esponenzialmente. Pertanto, negli ultimi anni il numero di matrimoni e nascite ha ripreso ad aumentare, mentre quello degli aborti a diminuire. A cosa dobbiamo questa incoraggiante tendenza?

Da un lato al fatto che la riscoperta dei valori tradizionali e religiosi, in sé stessa spontanea, viene sostenuta dalle autorità civili. La Federazione Russa è uno Stato laico, ma le sue istituzioni non sono indifferenti verso il ruolo della religione nella vita sociale. Dall’altro lato, questa tendenza viene enfatizzata dal percorso diametralmente opposto intrapreso dall’Unione Europea e dagli USA. La verità è che, negli ultimi anni, non è tanto la Russia ad essere divenuta un Paese più religioso, ma sono gli Stati del sistema occidentale che hanno accelerato un processo di emarginazione delle proprie tradizioni dallo spazio pubblico. Questo genera l’impressione che in Russia sia in atto una sorta di clericalizzazione generalizzata, quando invece l’indifferentismo e la secolarizzazione sono più diffusi di quanto comunemente si creda, soprattutto nelle grandi città. La crescita del Cristianesimo in Russia è un fatto reale, che apparirebbe però meno eclatante se non assistessimo contemporaneamente al fenomeno inverso in Europa e negli USA.

Lo scrittore Aleksander Solzenicyn 25 anni fa sosteneva che per il popolo russo ristabilire un legame con il proprio passato dopo il comunismo sarebbe stato facile. Alla luce della crescita del Cristianesimo in Russia, possiamo ritenere indovinata questa previsione? Decenni di ateismo di Stato sono soltanto un ricordo?

Solenicyn riteneva il bolscevismo un “corpo estraneo” rispetto alla tradizione culturale russa ed era quindi convinto che, abbattuto il comunismo, la restaurazione dei valori religiosi avrebbe seguito un corso quasi naturale. In parte si può concordare con quest’analisi, ma occorre tener conto che la religiosità russa è segnata da una storia peculiare, in cui una tensione spirituale universalistica si intreccia a doppio filo al bisogno di affermare l’originalità nazionale. Da questo punto di vista la riscoperta della fede non è esente dal rischio di strumentalizzazioni. Durante l’epoca sovietica, l’ideologia comunista fu usata come strumento di mobilitazione delle masse fondendo messianismo e patriottismo: è importante che oggi non accada lo stesso con la fede religiosa, che deve essere sinceramente creduta e vissuta per resistere alle sfide del mondo contemporaneo e non limitarsi a fungere da provvisorio referente identitario.

A novembre il presidente russo Putin ha incontrato papa Francesco in Vaticano. Come valuta questo asse diplomatico tra Oltretevere e Mosca teso alla risoluzione della crisi siriana?

È stato un grande successo politico e diplomatico per entrambi, e soprattutto ha segnato la strada giusta per la Siria evitando la guerra. Per la Russia si è trattato di un impegno necessario anche in virtù della presenza strategica di Mosca nella regione. La valutazione che si può trarre da quest’azione congiunta, paradossalmente, è però la relativa incapacità di capitalizzare appieno la vittoria diplomatica. Due autorevoli soggetti internazionali che in Occidente sono spesso bersaglio di aspre critiche, la Chiesa Cattolica e la Federazione Russa, hanno attuato una condotta saggia ed equilibrata, nonché rispondente alle aspettative dell’opinione pubblica mondiale. Questo dovrebbe implicare un maggior rispetto per le loro posizioni anche su altri temi, ma ciò dipenderà dalla capacità di riequilibrare un’immagine mediatica che li rappresenta molto più come oggetto di critiche pregiudiziali che come esempi da imitare.

Gli altri temi cui fa riferimento sono il giusnaturalismo e la difesa dell’identità cristiana?

Esatto. Difesa del diritto naturale e dell’identità cristiana rappresentano oggi il più fecondo terreno di incontro tra Mosca e la Santa Sede, che possono fare fronte comune su molte tematiche. La celebre scena del bacio all’icona mariana del Presidente russo in occasione dell’incontro con il Papa ha avuto un forte impatto presso l’opinione pubblica e gli osservatori, che intuiscono come le posizioni russe non possano essere ridotte alla sola realpolitik.

PARTE SECONDA
Roma, 23 Gennaio 2014 Federico Cenci

Il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, conferma che i rapporti tra Chiesa cattolica e ortodossi russi “sono migliorati”. Quali ripercussioni geopolitiche possono suscitare i progressi ecumenici?

Ripercussioni positive sul piano delle relazioni umane, certamente, ma che non determinano cambiamenti di sostanza. L’ecumenismo, inteso come dialogo su base teologica e dogmatica avente per fine un “arricchimento” reciproco, non è la strada giusta per l’unità dei cristiani. Puntando a venire incontro un po’ a tutti, comprese le confessioni non cristiane, il dialogo ecumenico alla fine non mette veramente d’accordo nessuno. E poiché si tratta di un dialogo composto da infinite voci, le concessioni verso un interlocutore inevitabilmente si ripercuotono in senso negativo con gli altri. Per restare in tema, attualmente è ad esempio in atto un contrasto molto serio tra il Patriarcato di Costantinopoli e quello di Mosca, in parte causato proprio dall’atteggiamento da tenere verso la Sede Apostolica. Cattolici e ortodossi possono invece parlare con una sola voce, anche in termini geopolitici, non sul piano ecclesiologico o di dottrina della fede, ma nel campo dell’etica, della cultura e della visione generale della società.

Che idea si è fatto della percezione che hanno i media di massa occidentali delle scelte del governo russo in merito ai cosiddetti temi etici?

L’atteggiamento denigratorio di buona parte dei media occidentali ha una ragione prima di tutto geopolitica: delegittimare una potenza che è percepita come rivale nell’agone internazionale. Ma sul piano interno ciò dimostra anche l’omologazione di culture politiche un tempo importanti nel magma indifferenziato della political correctness post-moderna. A ben guardare, le posizioni del partito di governo in Russia sui cosiddetti temi etici sono le stesse che qualsiasi schieramento conservatore, dal gollismo francese ai repubblicani USA, dal Conservative Party britannico ai partiti continentali cristiano-democratici, ha sempre considerato tratti costitutivi della propria identità: la difesa della famiglia naturale, della vita nascente, il patriottismo, l’attaccamento alle tradizioni nazionali. Che tali istanze appaiano su molti media come fenomeni d’un altro pianeta è segno d’un crescente impoverimento del dibattito intellettuale e della stessa dialettica democratica in Europa.

Sui media occidentali la legge russa contro la propaganda omosessuale raccoglie una pessima fama. Si tratta di preoccupazioni fondate? Può spiegarci cosa prevede questa norma?

La norma in questione (Legge Federale n. 135 del 19 giugno 2013) è un’integrazione della legge “Sulla difesa dei minori” e non ha alcun rilievo penale. Prevede infatti un’ammenda amministrativa - cioè una multa - per chi promuova comportamenti sessuali definiti “non tradizionali” davanti ai minori, ma di per sé non limita in alcun modo la libertà personale di adulti consenzienti nella loro sfera privata. Può essere considerata persino più blanda della legge britannica Section 28 del Local Government Act 1988, introdotta da Margaret Thatcher e rimasta in vigore fino al 2003, che vietava la stessa propaganda nei luoghi pubblici ma con sanzioni assai più severe. Per non parlare della legislazione statunitense: fino ai primi anni Duemila, in diversi Stati USA le leggi contro la sodomia ne facevano un reato punibile con il carcere. Nessuno degli organi d’informazione che attacca la Russia ricorda queste verità, che dimostrano come le accorate “preoccupazioni” rientrano in una collaudatissima strategia di soft power. Si tratta della capacità delle potenze egemoni di presentare di volta in volta i propri mutevoli costumi come il criterio di demarcazione tra la civiltà e la barbarie. Se domani gli Stati Uniti abolissero la pena di morte, molti media riuscirebbero di colpo a far passare l’idea che i Paesi dove viene applicata sono fuori dal mondo “civile”, e ove necessario userebbero in modo mirato quest’argomento per screditare e demonizzare le potenze rivali.

Persino Mario Pescante, ex presidente del Coni e attuale membro del Cio, ha definito “terrorismo politico” la scelta statunitense di inviare a Soči delle atlete omosessuali. Resta inoltre alto il rischio di attentati ceceni. A suo avviso Putin uscirà rafforzato o indebolito dalle Olimpiadi invernali di Soči?

Putin può fare di quest’evento una vetrina per la Russia, ma i media che gli sono ostili punteranno a esasperare ogni tipo di episodio per rivolgere critiche facilmente intuibili. D’altronde, oggi è più che mai la selettività dell’informazione che “crea” la realtà. Un esempio è proprio il terrorismo islamico. A fine 2013 la città di Volgograd è stata oggetto di due gravi attentati, ma la stampa internazionale non si è certo mobilitata per sensibilizzare l’opinione pubblica su tale massacro di civili inermi (come sicuramente sarebbe accaduto se fosse stata colpita una città europea o statunitense), soffermandosi quasi solo sulla mancanza di sicurezza in Russia. Eppure fino a ieri lo spettro del terrorismo islamico giustificava le guerre dell’Occidente, che oggi riesce invece a sostenere i jihadisti in Siria e in Nordafrica senza subire ripercussioni sulla propria credibilità. Oppure, prendiamo lo “scandalo” Datagate, che suscita critiche in fondo modeste: se al posto degli USA vi fosse la Russia, assisteremmo a un martellamento mediatico quotidiano, fatto di inchieste giornalistiche, appelli al boicottaggio da parte di cantanti e attori, scioccanti testimonianze di violazioni della privacy e dei diritti. Lo si può immaginare pensando alla severità aprioristica con cui sono trattate le vicende russe: per esempio, quando Putin ha concesso la grazia a Chodorkovskij e alle Pussy Riot, l’hanno criticato affermando che si trattava di propaganda; ma se non l’avesse fatto, avrebbero continuato a denunciare che gli eroici oppositori del Cremlino sono ancora in carcere. Con quest’approccio, che attacca il governo russo sempre e comunque, molti mezzi di comunicazione si apprestano a raccontare le Olimpiadi di Soči.