di Luca Foschi
Il ruolo del “partito di Dio” nella partita del Medioriente
Il manifesto del primo “Meeting internazionale delle politiche del Mediterraneo” diventa per un attimo una mappa tattica del Libano settentrionale. La disegna con l'indice il responsabile degli affari esteri di Hezbollah Ammar Al Moussawi, che a Cagliari per la prima volta risponde ai giornalisti da quando nel luglio scorso i ministri degli Esteri europei hanno inserito l'ala militare del Partito di Dio nella lista nera dei gruppi terroristici. Solo l'ala militare. Perché con quella politica «il dialogo deve continuare», dice Emma Bonino, che a Bruxelles si è opposta alla messa all'indice. Una schizofrenia indotta da USA e Israele. Nella resistenza lotta armata e politica sono momenti di un principio indivisibile.ITALIA IN LIBANO L'Italia rimane fedele alla storia della nostra presenza in Libano, cominciata nel 1982 con i bersaglieri del generale Angioni a protezione di Sabra e Shatila durante la guerra civile. Neutralità mantenuta 25 anni dopo con la missione UNIFIL II, poliziotto dei territori del sud, teatro nel 2006 dell'invasione israeliana. La “guerra dei 33 giorni” ha visto per la prima volta nella storia la sconfitta dell'IDF. La guerriglia di quei giorni è ora epica per Hezbollah, un sussulto di orgoglio e dignità che ha pervaso larghi strati della società libanese. Una realtà che ancora sfugge a molte coscienze occidentali e che l'associazione Assadakah Sardegna, organizzatrice del Meeting, ha inserito come elemento costante del ricco palinsesto. Per due giorni (4 e 5 ottobre) Cagliari ha ospitato la stecca nel coro, una visione alternativa delle politiche mediterranee e della loro narrazione. «Qualcuno dice che la presa di Qusayr da parte di Hezbollah è stata fondamentale per le sorti della guerra siriana. È un'esagerazione», sorride Moussawi. «I terroristi stavano circondando la valle della Bekaa. Il supporto siriano è stato fondamentale nella guerra del 2006, e un sentimento di riconoscenza ha accompagnato l'intervento. Ma per noi è stata un'operazione di sopravvivenza. Se hai un ladro nel giardino aspetti che entri in camera da letto per difenderti?». Un quadro che a Tripoli, in agosto, ci veniva confermato dallo sceicco salafita vicino ad al-Qaeda Omar Bakhri: «Abbiamo 3000 miliziani pronti a prendere Tripoli, prossima capitale di un califfato nel nord». JIHAD GLOBALIZZATA La contro-narrativa di Moussawi vede le legittime proteste del 2011 infiltrate dagli interessi e dai finanziamenti di Turchia, Arabia Saudita, Qatar e, naturalmente, Israele. Un'occasione imperdibile per rompere l'asse resistenziale sciita costituito insieme a Siria e Iran. L'opposizione con il tempo è esplosa in uno stato di natura dove il Libero Esercito Siriano perde terreno a favore del radicalismo islamista. Decine gruppi e almeno 40.000 combattenti provenienti da 80 paesi: una jihad globalizzata che nei territori sotto controllo somiglia sempre più all'anarchia feudale. Assad ed Hezbollah possono così raccontarsi come i paladini della lotta al terrorismo internazionale. IL RUOLO DELL'ONU Oltre la regione i soliti protagonisti del vecchio istituto del consiglio di sicurezza ONU: GB, Francia e USA da una parte, Russia e Cina dall'altra, in una paralisi che ha portato 110.00 morti, milioni di rifugiati e un nuovo bipolarismo. «L'unica soluzione al conflitto è la conferenza di Ginevra II in novembre, dove alle parti in causa sia chiaro che senza Assad non esisterebbe la Siria», afferma Moussawi. «È stupefacente che L'Ue stritoli con le sanzioni la Siria, il cui Pil è crollato al 35%, e acquisti petrolio dai ribelli che stanno devastando le infrastrutture del paese», continua il deputato libanese. E pensando ai civili sterminati dal gas a Damasco: «Insieme alle armi chimiche andrebbero messi al bando anche i droni americani, che in 10 anni hanno ucciso più di 3.000 persone. E le testate nucleari di Israele, mai dichiarate». UNO STATO NELLO STATO Essere “uno stato nello stato” è l'accusa più frequente rivolta al partito guidato da Hassan Nasrallah. Hezbollah finanzia ospedali e scuole. Cura la sicurezza dei propri bacini elettorali. Un'ombra statuale che, lamentano gli avversari della Coalizione 14 marzo, mette a rischio l'esistenza stessa dello stato libanese. «Questa è la strumentalizzazione classica dei nostri avversari. Il Libano è fatto di enclavi e anche i nostri oppositori gestiscono le proprie zone come se ne fossero i proprietari. L'eterogeneità mette in pericolo il paese. Senza la soluzione della crisi siriana e l'intervento di un moderatore esterno sarà difficile trovare un equilibrio. In Libano ci sono due gruppi, uno forte e uno debole. Quello forte è in grado di prendersi tutta l'autorità, ma non intende farlo. Il gruppo debole vorrebbe uno scontro, pur sapendo di non poterlo vincere. Instabilità e guerra civile dipendono da Hezbollah. La virtù appartiene a chi potrebbe cambiare ma non lo fa», spiega Moussawi. Nato in risposta all'invasione israeliana del 1982, sospettato negli anni della guerra civile di aver partecipato ad attentati dinamitardi e rapimenti, Hezbollah affascina Oriente e Occidente, destre e sinistre radicali con la sua attenzione agli ultimi, un rigore etico e identitario prima che militare, con la resistenza al colonialismo, la propaganda televisiva del canale al-Manar e la lenta ma costante apertura al pluralismo. Il finanziamento degli studi universitari conquista più giovani di qualsiasi istituto religioso. Basta girare per la Bekaa o i territori del sud per percepire il rispetto, certo sempre occhiuto e armato, che Hezbollah garantisce a sunniti e cristiani:IL PAPA E LA SIRIA «Con il richiamo contro l'intervento in Siria Papa Francesco è stato un padre per tutte le religioni. La sua fierezza pacifica ha vinto su coloro che volevano la guerra». Desidera accomiatarsi così Moussawi. Quando, però, Hezbollah rimuoverà il kalashnikov dalla propria bandiera? «Questo giorno arriverà quando finiranno l'occupazione e le minacce israeliane. I nostri giovani sono in grado in qualsiasi momento di condurre una vita civile degna. Imbracciare le armi per la resistenza non è una moda. Lo dimostra il martirio in battaglia del figlio del segretario Nasrallah. Quando a cadere non sono i poveri ma coloro che appartengono agli alti ranghi capisci che questo non è commercio. È una causa».
Inviato da Anonimo il Lun, 14/10/2013 - 07:22