Panorama.it "Se cade Assad la Siria diventerà una nuova Somalia"


20131005_145927In un'intervista con Panorama.it Sayyed Ammad al-Mussawi, responsabile delle relazioni internazionali di Hezbollah, cita Papa Francesco e parla del ruolo del Partito di Dio al fianco del regime di Damasco.

In Libano c'è un clima da resa dei conti

di Matteo Bressan*
A Cagliari ha partecipato al convegno sulle politiche del Mediterraneo organizzato dall’associazione Assadakah, uno tra più alti esponenti di Hezbollah, il Partito di Dio. Per Sayyed Ammar Al-Mussawi è stata la prima visita in un Paese europeo dopo la decisione presa a luglio di inserire l’ala militare del movimento sciita libanese all’interno della lista delle organizzazioni terroristiche.
Il responsabile delle relazioni internazionali di Hezbollah è intervenuto alla tavola rotonda su “Controinformazione, dalla Libia alla Siria, la guerra dei media”. Panorama.it l'ha intervistato per cercare di comprendere le ragioni dell’intervento del Partito di Dio in Siria, il contesto in cui sta maturando la distruzione dell’arsenale chimico di Assad, i possibili scenari del conflitto siriano e non da ultimo le ricadute di questo sulla politica libanese, alla luce anche della presenza della missione Unifil schierata nel Sud del Libano.
Esattamente un mese fa si è sfiorato il punto di non ritorno di un possibile confronto totale sulla Siria. Da una parte gli Stati Uniti, forse con qualche alleato europeo, dall’altra la Siria, la Russia, Hezbollah e l’Iran. Il vostro Partito, realtà imprescindibile dell’asse della resistenza, insieme alla Siria di Assad e l’Iran, ha assunto un ruolo nuovo fuori dai confini del Libano. Quali sono state le motivazioni di questa scelta e quale scenario si sta ora delineando in Siria?
In effetti qualche settimana fa eravamo dinanzi ad uno scontro reale in Siria da parte degli Stati Uniti d’America. La motivazione era che l’esercito siriano avesse utilizzato le armi chimiche contro la popolazione civile. Noi rigettiamo questa accusa perché crediamo che né l’esercito né il regime avesse bisogno di utilizzare queste armi che sono proibite a livello internazionale. Sia gli Stati Uniti sia i loro alleati non avevano nemmeno aspettato l’esito delle indagini da parte degli esperti per poter decidere. In effetti eravamo arrivati ad avere il fiato sospeso in quei momenti, pensando ad una probabile aggressione da parte degli Usa contro la Siria che avrebbe anche potuto allargarsi a livello regionale. Noi crediamo che l’obiettivo era tentare di rovesciare il regime di Assad, alla luce del fatto che i ribelli non c’erano riusciti. I russi hanno lanciato la proposta di smantellare l’armamento chimico in Siria. Idea che ha di fatto disinnescato l’escalation di quelle ore. Abbiamo iniziato a vedere delle priorità per risolvere la crisi siriana. L’ordine delle priorità che veniva praticato prima era: armare i ribelli, far cadere il regime e dopo risolvere la crisi. Invece l’ordine adesso è lo smantellamento dell’arsenale chimico, combattere il terrorismo e risolvere la crisi siriana. La differenza tra questi due approcci è che è sparito dall’agenda far cadere il regime ed armare i ribelli. Questo nuovo ordine di priorità ci da un messaggio molto chiaro. L’intenzione è quella di andare in una direzione che risolva la crisi. Credo che oggi tutto il mondo veda con benevolezza lo smantellamento dell’arsenale chimico della Siria. Ovviamente il mondo vorrebbe lo smantellamento di tutti gli arsenali chimici e tutti gli armamenti di distruzione di massa compresi ovviamente l’arsenale nucleare che detiene Israele. Penso che la priorità sulla quale tutte le forze politiche a livello mondiale si trovino in questo momento d’accordo è arrestare il terrorismo che sta fiorendo e proliferando in Siria.
In passato si pensava che questi gruppi terroristici fossero l’unico mezzo per poter far cadere il regime in Siria. Oggi invece vengono visti come una minaccia non solo per la stabilità della Siria, ma probabilmente anche a livello internazionale. Inizialmente il conflitto veniva letto con il seguente schema: da una parte il regime violento dall’altra un popolo in rivolta privo di armi. Adesso si comprende che c’è il terrorismo in Siria e il regime rappresenta la sicurezza che può scongiurare un conflitto simile ma di proporzioni più vaste della Somalia, con il proliferare dei signori della guerra. Tenga presente che secondo le stime ci sono più di mille fazioni armati in Siria, in conflitto tra di loro. Ogni fazione armata cerca di imporre una certa realtà nel territorio in cui ha l’egemonia. Se per un attimo pensassimo ad un’eventuale caduta di Assad, assisteremo alla frammentazione dell’esercito tra le mille fazioni oggi presenti in Siria e forse assisteremo alla nascita di altre fazioni. In caso di disgregazione dell’esercito ogni ufficiale di grado intermedio potrebbe organizzare il proprio battaglione per costituire una nuova fazione. Così ci troveremmo di fronte a migliaia di gruppi ognuno in conflitto. L’idea che noi abbiamo della Somalia sarebbe una caricatura se paragonata a quello che potrebbe accadere in Siria. Le conseguenze avrebbero ricadute non solo in Siria, dove le minoranze etniche sarebbero esposte ai rischi, ma anche ai paesi confinanti e all’Europa stessa.
Anche quei gruppi ribelli, che avevano inizialmente condotto le prime rivolte, stanno rivedendo la loro agenda e le loro stesse posizioni. Molti si stanno accorgendo che l’obiettivo di fare cadere il regime è difficilmente realizzabile. Oggi i siriani si stanno accorgendo che al posto di Assad non andrebbero i ribelli, ma i terroristi.
Anche la scelta dello smantellamento dell’arsenale chimico presuppone un’autorità centrale che coordini questo tipo di operazioni. È quindi implicito che avallando uno smantellamento dell’arsenale si riconosca l’autorità del regime, che deve adempiere a questo compito.
Ad oggi se dovessi dire chi ha vinto in Siria, semplificando, direi che hanno perso tutte quelle persone che hanno sollevato le armi e infiammato la Siria per una guerra interna e sostenuta dall’esterno ed hanno vinto tutte quelle forze che hanno lavorato per il contenimento della crisi siriana e per una soluzione pacifica. Prevediamo pertanto una soluzione della crisi in tempi brevi se gli intenti di queste ultime settimane verranno rispettati. Voglio menzionare inoltre la posizione di Papa Francesco e il suo richiamo per evitare la guerra in Siria. Il suo appello ha avuto un'eco mondiale e il suo messaggio è andato oltre la comunità cristiana. Ha portato bandiera della pace di fronte a coloro che volevano la guerra.
Per quanto riguarda la nostra partecipazione al conflitto siriano, noi ci troviamo di fronte ad un risultato molto importante. Noi siamo gli ultimi ad entrate a combatter in Siria. Il conflitto è iniziato tre anni fa, e noi siamo intervenuti nell’ultimo anno.
Tutti riconoscono che ci sono 100.000 ribelli appartenenti a ben 82 nazioni che combattono in Siria, ci sono anche centinaia di combattenti con cittadinanza Europea. Adesso il problema è la partecipazione di Hezbollah?
Noi abbiamo motivazioni fondamentali, in primo luogo per il rapporto di alleanza con la Siria da più di trenta anni. La Siria ci ha aiutato, prima e durante la guerra del 2006. Da un punto di vista morale se hai un amico che ti ha aiutato nei momenti difficili sei in dover di aiutarlo quando si trova in difficoltà. Inoltre ci siamo resi conto che non si trattava di una semplice rivolta interna ma di un complotto internazionale.
Politicamente siamo ben convinti che colui che mira a rovesciare Assad ha come prossimo obiettivo quello di combattere anche noi. Gli stessi dissidenti siriani hanno ammesso questo e l’ex Premier siriano che attualmente vive in Francia, Abd al-Halim Khaddam, ha detto che quando la rivolta avrà vinto in Siria, il nuovo esercito siriano andrà in Libano ad annientare Hezbollah. Le ho qui esposto la nostra scelta sotto il profilo morale e politico. Ora le illustro la situazione sul campo. Noi ci siamo accorti che i rivoltosi, si erano radunati alle nostre spalle, ci stavano accerchiando a ridosso della Bekaa. Quando siamo andati a Qusayr è sembrato che fossimo andati ad aiutare Assad, invece era una nostra difesa, una guerra preventiva. Quando vedi una minaccia imminente non aspetti. È quello che abbiamo fatto noi, e abbiamo spezzato il fronte. Molti avevano scommesso che Hezbollah avrebbe subito un sconfitta a Qusayr. Altri ancora ci accusavano di aver oltrepassato la frontiera con la Siria. Ho due risposte su questa accusa: noi abbiamo oltrepassato il confine perché il Governo siriano ce lo ha chiesto. Hezbollah è l’unico forza militare che è entrata in Siria su richiesta del Regime. Gli altri sono entrati illegalmente, contro la volontà delle istituzioni siriane. Una seconda considerazione, se ci viene chiesto di rispettare i confini internazionali, chi ci garantisce che questi ribelli faranno altrettanto? Per fare un esempio, lo stato islamico dell’Iraq e del Levante rispetta i confini? Già questa denominazione rende bene l’idea.
Molti altri dicono che se non fossimo intervenuti a Qusayr sarebbe caduto il regime siriano. Questa è un’esagerazione. Per quanto possa essere potente Hezbollah non può essere la forza che ha cambiato gli equilibri in Siria. Abbiamo dato un contributo ma anche perché c’è l’esercito siriano. Semmai l’esercito siriano aveva sottovalutato all’inizio la crisi stando in una posizione di difesa ma successivamente hanno cambiato strategia passando al contrattacco. Ad oggi le notizie che arrivano da Damasco delineano uno scenario favorevole al regime, con l’esercito libero in dissolvimento. La maggior parte dei ribelli sono ormai estremisti e ultimamente una trentina di gruppi armati si sono unificati e non riconoscono né il regime né la coalizione di opposizione. Il loro programma non è la costruzione di una Siria democratica e non so se c’è ancora qualcuno in Europa che scommette sul fatto che il futuro della Siria possa esser lasciato nella mani di questi gruppi.
Parliamo dell’attualità libanese. Come era prevedibile la politica e l’opinione pubblica nel Paese dei Cedri si sta dividendo sulla crisi in Siria. Ancora una volta i due grandi blocchi politici del libano, la coalizione del 14 marzo e quella dell’8 marzo, di cui Hezbollah è parte, si confronteranno sul tema con Assad, contro Assad. Quanto può condizionare in termini di consensi politici la partecipazione del vostro movimento al fianco di Assad? Mi spiego meglio, la resistenza contro Israele è stato un argomento vincente non solo per la vostra comunità ma ha creato un forte collante all’interno di una parte della società libanese. La crisi in Siria segnerà una svolta per il Libano e per Hezbollah?
La nostra presenza in Siria non cambierà le alleanze in Libano. I nostri alleati continuano ad essere i nostri alleati così come i nostri avversari. Questi ultimi hanno scommesso sulla caduta di Assad, ma questo scenario non sembra realizzarsi. La situazione politica libanese rimarrà confusa e paralizzata fino a quando non si chiarirà la crisi in Siria. La divisione in Libano tra i due schieramenti è molto forte tanto che sono saltate sia le elezioni che la formazione del nuovo Governo. Le posizioni sono distanti e per questo in Libano c’è una crescente tensione, che può essere risolta solo da un mediatore esterno. In Libano ci sono due gruppi, un gruppo forte è in grado di impadronirsi di tutte le autorità ma non intende farlo, il gruppo piccolo e debole vorrebbe un conflitto ma non è in grado di gestirlo. Hezbollah non vuole far precipitare questa apparente stabilità del Libano che aprirebbe le porte ad una nuova guerra civile.
Quanto è importante per il Libano la presenza dell’Unifil?
Noi consideriamo molto importante la presenza dell’Unifil e anche la popolazione civile accoglie con grande positività la presenza dei militari. La decisione degli Europei di inserire l’ala militare di Hezbollah tra le organizzazioni terroristiche non muta la nostra volontà di collaborare con i militari impegnati nel Sud del Libano perché sappiamo che questa è stata una decisione voluta da altri, Stati Uniti e Israele. Tutti sanno che Hezbollah non ha nessuna attività militare nel territorio europeo, e l’Europa non trae nessun vantaggio da questa decisione.
* Matteo Bressan è autore di "Hezbollah Tra integrazione politica e lotta armata "