La battaglia di Qusayr Assad, scacco ai ribelli con l’aiuto di Hezbollah


MideastSyriaJPEG-03c6d_1368973631--330x185FRANCESCA PACI

ROMA
Qusayr, ricordate il nome di questa città. Comunque finisca la battaglia in corso da ieri mattina, Qusayr entrerà nella storia della guerra civile siriana, Stalingrado mediorientale che sposterà l’ago della bilancia regionale. Le notizie che filtrano dalla linea del fronte raccontano un corpo a corpo feroce tra i ribelli asserragliati nel centro e le truppe di Damasco che dall’inizio di aprile assediano questa roccaforte dell’opposizione a 15 km da Homs e una ventina di minuti dal confine libanese.

«La svolta è arrivata con l’intervento degli uomini di Hezbollah, sono loro che stanno facendo tutto il lavoro: l’esercito di Assad non sarebbe mai riuscito ad aver ragione di quell’avamposto di qaedisti» confida un analista libanese vicino al partito sciita di Nasrallah. Dal novembre 2011 le truppe governative tentano invano riconquistare di Qusayr, pioniera base operativa del Libero esercito siriano e teatro di molteplici episodi di diserzione, compreso quello recente del carrista scappato da uno dei 35 tank posizionati intorno alla città. Finora però, neppure i cecchini e gli shabiha, le spietate squadracce alawite al soldo del regime, avevano sfondato la frontiera nemica corazzata dagli uomini di al Nusra e dalla brigata Farouq, passata tristemente alla cronaca per il video del comandate Abu Sakkar che mangia il cuore di un soldato lealista. Poi, un mese fa, coperti dall’aviazione, entrano in campo i mortai dei miliziani libanesi di cui Assad continua a negare la presenza ma Hezbollah no (fonti dell’opposizione parlano anche di combattenti iraniani a Quasyr).

«La zona di Quasyr è estremamente importante per il regime perché è la retrovia di Damasco e il suo collegamento con la costa» nota l’ex generale libanese Elias Hanna. Per questo, nonostante l’esercito abbia lasciato ai ribelli buona parte dell’est e del nord della Siria, comprese basi militari e dighe, si è concentrato in questa campagna puntellata di piccoli villaggi contadini in buona parte sunniti (e svuotati dalla pulizia etnica). Perché, sostiene l’analista Abdulrahman al Rashid, da qui dipendono i due piani di Assad: «O si prepara la via di fuga per la caduta della capitale o pensa di poter un domani controllare un terzo della Siria, un enclave alawita tra Damasco, Homs e il mar Mediterraneo».

Il fronte occidentale è diventato così il cuore della guerra civile. Prova ne sia il numero delle vittime di Qusayr, che fino a pochi giorni fa erano una settantina e ieri sono quasi raddoppiate (secondo gli attivisti nelle ultime ore ci sarebbero 58 morti e 600 feriti, fra cui molti civili). Fra i morti di ieri, sempre secondo l’opposizione, ci sono anche 4 membri di Hezbollah.

Dopo aver perduto il quartiere simbolo della resistenza di Homs, Baba Amr, i ribelli sono arretrati nella Stalingrado mediorientale da cui per settimane hanno martellato i villaggi libanesi della Bekaa in risposta ai razzi Grad e Katyusha lanciati dalle postazione di Hazbollah a Hermel.

Il conflitto siriano che conta già almeno 80 mila morti e un milione e mezzo di rifugiati, è sempre più settario, regionale, minaccioso. Mentre il Qatar, mega sponsor dei ribelli, ha ottenuto dalla Lega Araba un summit d’emergenza dei ministri degli esteri arabi per discutere la crisi, Damasco, a detta del quotidiano britannico «Times», avrebbe puntato le proprie batterie di missili Tishreen verso Tel Aviv per scoraggiare qualsiasi tentazione interventista.

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