Esclusivo. Una nuova Jalta, per superare la crisi siriana e poi le riforme



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di Raimondo Schiavone

Beirut - Se non fosse per il rispetto che si deve agli Stati e soprattutto alle vittime della tremenda guerra in corso in Siria, potremmo affermare che l'accordo di Roma promosso da John Kerry con alcuni paesi europei - fra i quali l'Italia - appare come un accordo fra clown. Per vari motivi. Primo perché 60 milioni di dollari sono davvero un ruscello in quel mare di desolazione e se ne perderà una buona parte per strada prima di arrivare alla gente. Gli stessi ribelli siriani hanno deriso questo impegno: si aspettavano un contributo fattivo con armi e addestratori, invece verranno accontentati solo i mediatori che si incaricheranno di portare le provviste.

Secondo aspetto: John Kerry aveva un mandato limitato. Gli USA infatti non vogliono innervosirela Russiae hanno proposto solo di dare un contentino ai ribelli al fine di far emergere la fazione meno integralista dell’opposizione. Inoltre, in vista della chiusura di un accordo fra il Governo di Assad e i ribelli, era necessario far aumentare il peso dell’opposizione nella prossima e imminente trattativa.

Terzo aspetto: gli Stati europei sulla vicenda siriana hanno grande interesse: il pericolo è vicino geograficamente e l'integralismo alle porte del vecchio continente fa molta paura. Sotto il profilo economico, c’è da segnalare la chiusura dei mercati arabi, un danno enorme per le aziende europee. Di diverso segno è la posizione degli Stati Uniti per i quali il caos in Siria è tutt’altro che un problema. La crisi siriana, secondo Washington, è un’occasione irripetibile per indebolire il “nemico” Iran e consentire ad Israele di controllare militarmente l'area mediorientale, anche in virtù dell'attuale pochezza del regime egiziano di Morsi.

La parola che in questi giorni si pronuncia di più qui a Beirut – e anche a Damasco – è “accordo”. Oramai non è più solo un auspicio ma una certezza. Bisogna solo definire i termini e gli attori di questa nuova fase. Quasi certamente ci sarà una Yalta siriana. È chiaro a tutti che senza un’intesa russo-americana non si risolve la crisi. E non sarà possibile raggiungere tale intesa se non ci sarà un dialogo sul livello locale. Questo è il lavoro che stanno compiendo le diplomazie: da un lato i servizi siriani e alcuni parlamentari che hanno mantenuto rapporti con i ribelli e, dall'altro, le varie fazioni rivoluzionarie, dai fratelli musulmani, in Siria molto più deboli che in Egitto e Tunisia, alla parte militare. Nelle trattative non sono esclusi i gruppetti terroristici più integralisti.

I livelli dell'accordo saranno obbligatoriamente due: uno locale e l'altro internazionale. Le due potenze storiche, USA e Russia, costringeranno l'Europa a ratificare un accordo atteso da tempo. L'Iran è il terzo incomodo in questa vicenda, visto che punta ad assicurare la neutralità della Siria e a mantenere con la stessa rapporti di amicizia. Altro obiettivo di Teheran è l’apertura di nuove relazioni economiche con l'Europa, magari attraverso la realizzazione di qualche pipeline. Insomma, la soluzione della crisi di Damasco potrebbe agevolare nuovi processi economici e vantaggi, non solo sotto il profilo umanitario, per molti soggetti.

L’accordo non potrà non prescindere dalla presenza di Bashar al Assad. L'attuale presidente, infatti, gode ancora del favore della maggioranza della popolazione che vede in lui il baluardo contro l'integralismo e il garante della laicità dello Stato. Il fatto che Assad partecipi all'accordo non vuol dire che dovrà essere lui il successore di se stesso. I presupposti del nuovo accordo per tale ragione dovrebbero essere le nuove elezioni, il completamento del processo riformatore sia costituzionale che sociale, la modernizzazione delle relazioni e l’apertura di un nuovo dialogo. L'attuale Governo dovrà pertanto dimostrare con i fatti di riuscire a completare quel processo che ha solo cominciato e che poi ha fermato. La separazione dei poteri politici e giudiziari, l’apertura verso una economia più avanzata, l’eliminazione dei limiti presenti per la carica di Presidente e una partecipazione attiva dei cittadini alle scelte del Governo sono riforme indispensabili, auspicabili e delle quali si discute oggi a Damasco tra coloro che vogliono il dialogo e si rifiutano di far parlare i fucili.

Ovviamente tutto questo non fa notizia per i media occidentali che preferiscono riportare informazioni di massacri, non sempre veri, o fare da megafono alle piccole fazioni jhiadiste ed integraliste che occupano alcune campagne e non avranno alcun ruolo nelle fasi successive di vita della Siria.

Molti giornali fanno finta di mandare inviati in quei territori e invece si limitano a raccogliere un po’ di cinguettii da Twitter e video da YouTube, spesso manipolati o creati ad arte. Le interlocuzioni avute qui a Beirut e al confine, con autorità e forze di entrambe le parti, ci mostrano una faccia diversa della Siria, una faccia che guarda al domani con fiducia, nella consapevolezza che la rivoluzione siriana non sia altro che una particella della più complessa rivoluzione mondiale, nella quale i cittadini intendono riappropriarsi del proprio ruolo senza delegarlo a nessuno. Una rivoluzione epocale.