Siria. “Divide et Impera” dall’epoca romana ad oggi, non cambiano le corde dell’imperialismo occidentale


 

Beirut 13 dicembre 2012

Appare serena la realtà a Beirut in questi giorni, non lo era a maggio e settembre quando la situazione siriana appariva meno complessa di quella che si palesa oggi. Eppure la città vive una vita normale1, lavori in corso come sempre e molti operai siriani lavorano nei cantieri libanesi. È sempre stato così, tanta manodopera in libano arriva dalla vicina Siria specie nel comparto edile. Operai, la maggior parte dei quali viaggiano al mattino e alla sera tra Damasco e Beirut. Quel confine che a leggere i giornali italiani sembrerebbe rischioso ed impenetrabile. Un solo cuore batte per Libano e Siria, le due comunità che si compenetrano e per molti versi si compensano. E per questo motivo vedere Beirut così serena appare strano. Fervono i preparativi per Natale. La comunità libanese festeggia il Natale; persino nelle case mussulmane si vedono segni della festa cristiana. Chiudono le scuole dal 23 Dicembre al 7 Gennaio, come se fosse una festa nazionale. In sostanza lo è, come lo sono le festività di tutte le confessioni religiose in questo Paese, che ha fatto del pluralismo la sua ragione d’essere e rappresenta un esempio di convivenza per tutto il Medio Oriente. Forse perché negli anni le famiglie si sono compenetrate tra loro, sunniti, sciiti, cristiani, armeni vivono negli stessi quartieri e spesso sotto lo stesso tetto, visto che sono normali i matrimoni misti, pertanto non è strano trovare in una casa mussulmana un presepe, magari per la presenza di un nonno o di una zia cristiana. Dicevamo dell’unico cuore che batte per Libano e Siria, molte famiglie siriane hanno parenti nella terra dei Cedri, l’influenza siriana sulla politica libanese è sempre stata molto forte, sono numerosissimi i siriani che in questa fase si sono temporaneamente trasferiti in Libano, non hanno bisogno di costruire campi profughi hanno riferimenti, luoghi dove stare. Ecco perché meraviglia che l’intero mondo non si renda conto di cosa potrebbe significare la caduta del regime di Assad nel modo che si sta progettando. La Siria non è la Libia, Assad gode ancora del favore della maggioranza del suo popolo, i cittadini siriani hanno assaporato il concetto di libertà dello Stato, la convivenza fra le fazioni religiose, non sarà facile per loro accettare la predominanza e l’imposizione della legge islamica. Se ci sarà un intervento di truppe esterne e se continuerà il rifornimento continuo di armi ai ribelli jihadisti, in Siria sarà guerra civile. Non sarà una guerra circoscritta ai confini nazionali, il Libano ne subirà immediatamente gli effetti e tornerà ad essere un Paese destabilizzato, insicuro, riflettendo i suoi effetti su tutto il Medio Oriente.

Il rischio di uno spostamento massiccio delle minoranze cristiane ed armene dalla Siria ai Paesi vicini è fortissimo. Effetti importanti si rifletteranno sull’Egitto, che non vive certo una serena fase di transizione, e dove i Cristiani copti stanno compiendo la loro battaglia per la laicità, in un Paese dove i fratelli mussulmani vogliono imporre la loro costituzione e le regole del Corano. Gli armeni già massacrati più volte dagli ottomani si troveranno a dover scegliere se combattere. Non saranno periodi tranquilli per il Medio Oriente e chi ha pensato che l’eliminazione di Assad e la parcellizzazione della Siria consentirebbe il raggiungimento di un nuovo equilibrio in quel paese, commette un grave errore. Rimarranno aperti numerosi focolai, ci sarà sempre chi non rinuncerà alla ricomposizione dell’unità dello stato siriano, ci sarà chi tenterà di annettere porzioni direttamente o con la nascita di piccoli califfati governabili. Sarà un continuo ribollire di focolai di guerra. Gli unici che si avvantaggeranno di tale situazione saranno le lobby del commercio delle armi, coloro che in occidente guidano la mano di molti governanti, le lobby sioniste, che approfitteranno della parcellizzazione dell’unico Stato che funzionava da dissuasore in quell’area per continuare la loro sistematica operazione di occupazione di territori a scapito del popolo palestinese. L’Occidente che crede di poter espandere il proprio modello di democrazia con l’ausilio delle armi, otterrà un solo il risultato: una nuova area instabilità, com’è stato in Palestina, in Afganistan, in Iraq, in Libia. Ma forse questo è uno dei suoi obiettivi: dividere per imperare, da Roma ad oggi le corde dell’imperialismo non sono cambiate, è sempre la stessa musica.

 Raimondo Schiavone