Reportage da Damasco. La guerra non ha ucciso la speranza dei siriani (I parte)


IMG_0088Per la prima volta dopo due anni e mezzo dall’inizio del conflitto in Siria, il confine con il Libano è affollato da famiglie siriane che rientrano in patria. Una sorta di contro esodo, macchine, camioncini, mezzi di ogni tipologia al confine, in fila, carichi di persone e anche di vettovaglie, tornano verso Damasco. La strada che dalla valle della Bekaa conduce nella capitale siriana non è mai stata così trafficata, in questi ultimi anni. Ora la situazione è nettamente cambiata, lo si percepisce subito, appena si accede alla città, le strade sono trafficatissime, sembra di essere tornati indietro nel tempo, difficoltà di movimento, i marciapiedi brulicano di  venditori ambulanti, piccoli mercati ovunque. I soldati, i civili armati, gli uomini delle milizie di quartiere ci accolgono con un sorriso mai visto, le informazioni che arrivano dai media locali ed anche dal tam tam cittadino, sono positive, l’esercito governativo recupera posizioni ovunque. Dai vari fronti aperti sia intorno alla capitale, sia nelle periferie della Siria arrivano notizie di vittorie; componenti dell’esercito libero che si arrendono ai governativi e si schierano dalla parte del Presidente Bashar Al Assad. Tuttavia, la ritirata degli Jihadisti e dei tafkiri lascia dietro di sé un’onda di distruzione, scappano, il loro modo di arretrare è crudele quanto è stato quello con cui hanno avanzato, incendiano case, sparano colpi di mortaio, uccidono i siriani che intendono arrendersi alla forze governative. È il loro modo di coprire la ritirata, nel tentativo di salvarsi la vita e provare ad uscire dal Paese. Ai siriani che si arrendono, il Governo garantisce una sorta di immunità e reintegro  nel ruolo, precedentemente ricoperto, nessuna ritorsione, nessuna vendetta questa è la volontà del Presidente. La sua immagine campeggia ovunque, la gente espone la sua effige,  disegna e rappresenta ovunque la bandiera della Siria. Appese alle saracinesche dei negozi, sui muri delle case, bandiere siriane ovunque, quasi a voler manifestare quell’amor patrio per mesi nascosto. “Abbiamo vissuto per mesi, ci raccontano alcuni amici incontrati, con la paura di essere uccisi solo perché convinti della bontà dell’attuale Governo, perché esprimevamo la volontà di avere una Siria unita, democratica, interreligiosa, non governata dall’integralismo”. Ora possiamo esporre di nuovo la nostra bandiera, persino nei ristoranti c’è chi festeggia il proprio compleanno, accolto dalle note di “Happy birthday to you” e da una torta con l’immagine della bandiera nazionale. Appena capiscono che siamo italiani ci offrono una bella fetta di torta pur di condividere la gioia del loro evento.

Uno dei nostri accompagnatore è il cameramen Shadi Martak per ben due volte in questi tre giorni damasceni torna per noi, dal fronte, sì proprio dalla prima linea, ogni giorno staziona in trincea e riprende l’avanzata dell’esercito, rischia continuamente la vita per raccontare al mondo intero, con le sue immagini, quello che sta accadendo.

Non dorme Chadi, ha solo voglia di raccontare, la distruzione e la morte diffusa in ogni angolo, si emoziona quando ci consegna in esclusiva il video della distruzione die Ma'lulail sito cristiano attaccato alcuni mesi fa dagli jihadisti che hanno distrutto tutti i simboli del religiosi presenti.  L’antica roccaforte del cristianesimo ora è stata liberata dalle milizie governative, ma soprattutto dai ragazzi siriani che hanno fiancheggiato i militari per cacciare via gli uomini di Jabhat al-Nuṣra, che avevano occupato i santuari di Sergio e Bacco e di Santa Tecla. Un video emozionante dedicato ai noi di Assadakah che a Ma’lula eravamo stati del 2012 quando ancora i tafkiri non erano entrati, un video toccante che utilizzeremo durante le nostre conferenze, sapendo che il nostro amico Chadi, al quale gli Jihadisti hanno strappato i denti, ci ha voluto fare omaggio della sua amicizia con un video, torneremo in terra siriana nella speranza di rivedere presto il suo sorriso accogliente.

 

I quartieri cristiani

Il controllo della città ovviamente è molto severo, ogni incrocio ha un ceck point militare o organizzato dai ragazzi del quartiere che presidiano la loro terra. Si temono attentati, questo è l’unico modo che hanno i terroristi di colpire la città, di colpire la Siria. Si teme l’uso di esplosivo, non si curano del possesso di armi, si possono trasportare sulle auto, ovunque si vedono persone con pistole o kalashnikov. Viviamo sulla nostra pelle l’esperienza della guerra, nel Suk alcune ore prima del nostro arrivo un colpo di mortaio colpisce due auto parcheggiate e i portoni di alcuni esercizi commerciali. Al nostro arrivo si sente ancora l’odore dell’esplosivo e i militari stanno provvedendo alla rimozione dei veicoli colpiti, le portiere sono completamente crivellate dalle schegge di quell’arma tremenda capace di spargere ovunque migliaia colpi mortali. Gli esercizi commerciali sono chiusi, riusciamo a scattare alcune fotografie. Non si legge disperazione facce delle numerose persone presenti, quasi come fossero consapevoli del fatto che questi sono gli ultimi colpi di coda dei terroristi.

Pochi metri più avanti, la Grande Moschea, i negozi aperti, i venditori di succo di melagrane. Molte persone affollano la Moschea, una tra le più importanti di Damasco, quella che prima era una chiesa e che è stata oggetto di scambio con i cristiani siriani, quella in cui è presente la tomba di Giovanni Battista, colui che battezzò Gesù Cristo.

Sono proprio i quartieri cristiani i più colpiti dai terroristi, quali volessero vendicarsi del loro schieramento a favore del Presidente Assad e del Paese.

Visitiamo il quartiere cristiano verso l’ora di pranzo, alcune ore dopo la radio informa di un nuovo attentato proprio nello stesso luogo nel quale eravamo passati poco prima, due feriti gravi ancora un colpo di mortaio.

Nonostante il rumore sordo dei cannoni in lontananza, nonostante le sofferenze, i siriani non di stancano di manifestare la propria devozione alla bandiera, baciano il tessuto che portano gelosamente con sé.

Un senso di appartenenza tanto forte da far venire alla memoria quello che i libri di storia ci hanno insegnato e consegnato, insieme alle raccomandazioni sull’amor patrio, l’amore dei nostri nonni per la Patria che liberarono dai nazi-fascisti.

Passiamo del quartiere cristiano di Cassa’a e poi nella Piazza Abbasidi, lì si combatte ancora, i soldati non ci fanno proseguire, dall’altra parte della barriera militare si staglia il quartiere di Juba dove sono presenti ancora numerosi cecchini terroristi, lì vicino sorge la chiesa di Santa Croce, di fronte all’edificio alcuni giorni fa è esploso un bus, con a bordo moltissimi bambini, uno dei tanti attentati, che hanno seminato morte  e distruzione in questi due anni. Uccidono i bambini cristiani questi assassini che per due anni sono stati riforniti di armi dall’Occidente, dalla Francia di Hollande e dalla Gran Bretagna di Cameron, che ora in silenzio guardano agli accadimenti siriani senza mai pronunciare parole di scusa verso questo popolo.

Raimondo Schiavone

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