Attacco a Malula. L'incubo di Padre Matteo Addad e della Madre Superiora è divenuto realtà


Foto 7 ok Foto 8 okNel libro "Syria. Quello che i media non dicono" la testimonianza di un anno fa 

Un militante del gruppo ribelle Jabhat al-Nusra, un affiliato di al-Qaeda, si è fatto saltare in aria con una autobomba vicino ad un posto di controllo dell’esercito siriano all’entrata della città cristiana di Malula, ad ovest di Damasco, in mano alle forze lealiste, ha detto mercoledì la ONG dell’Osservatorio Nazionale per i Diritti Umani in Siria (ONDUS).

L’ONDUS ha riferito che i militanti controllano ora la postazione dopo violenti scontri.

La ONG ha aggiunto che i ribelli hanno ucciso e ferito diversi membri delle forze governative e distrutto due carri armati.

Il timore di un attacco dei ribelli, in quella che è città simbolo del cristianesimo in Siria e luogo in cui si era realizzata la perfetta convivenza religiosa tra cristiani e musulmani, era già stato espresso da Padre Addad, tutore del Santuario della città e dalla Madre Superiora, responsabile del Monastero. In un accorato appello rivolto alla Delegazione di Assadakah presente in Siria, chiedevano che l'Italia e l'Europa intervenissero per porre termine alla lunga scia di sangue.

Oggi, il timore e le previsioni si sono trasformati nella più cruenta delle realtà e a nulla sono valse le numerose richieste, le testimonianze e i tentativi di dialogo effettuati nel corso di questo anno, da parte di Assadakah e delle altre associazioni che denunciano l'opera dei ribelli mercenari.

Altre morti , per svelare quello che in questi mesi si è voluto nascondere e tacere.

Dal libro "Syria quello che i media non dicono":

Una testimonianza da Homs: il vescovo siro-ortodosso

 

“Le chiese si ricostruiscono, anche le case, ma bisogna ricostruire il sentimento umano, il dialogo tra gli uomini”, mi racconta il vescovo siro-ortodosso. “Da otto mesi non possiamo rientrare nelle nostre chiese, la strada è diventata la chiesa, non vogliamo abbandonare la nostra terra. I cristiani pensano di essere obiettivo dei musulmani, chi spiegherà loro che questa non è la verità, e se anche è accaduto non deve più ripetersi? I capi di stato occidentali, anziché aiutarci, ci chiedono di abbandonare la Siria. Non vogliamo finire come in Iraq, dove un milione e mezzo di cristiani sono stati costretti ad andar via. Sarà difficile il domani. Speriamo che voi possiate essere un ponte con l’Occidente”.

“I bambini sono morti, chi ridarà loro la vita?”. I toni si animano, alcuni imam sunniti intervengono. “In Siria per secoli c’è sempre stata una convivenza religiosa, non si possono spazzare via oggi secoli di storia. Sono i musulmani che difendono e devono difendere i cristiani, su questo punto fermo non si può transigere. Quelli che uccidono a Homs non sono fratelli musulmani, non si uccide in nome di Dio. Quello che sta accadendo è un attacco a tutti i cristiani e ai musulmani, 1400 anni di convivenza non si possono distruggere. Nessun imam può emettere una fatwa per andare contro la Siria. Quegli imam che lanciano questo tipo di fatwa non sono fratelli musulmani. Le agenzie e i media non possono travisare la realtà come stanno facendo. Non riusciranno anche con questa guerra a distruggere il progetto di convivenza cristiana e musulmana che esiste in Siria. Stanno morendo cristiani e musulmani. Dobbiamo difendere tutti i luoghi sacri di entrambe le dottrine religiose. La Siria è terra di convivenza, dove le culture non si combattono; sono solo gli interessi che portano a una guerra. Chi vuole spegnere il fuoco deve farlo con l’acqua e non fomentarlo, così come chi vuole lavare il sangue deve farlo con l’acqua”.


Non si uccide nel nome di Dio: la caduta di Assad metterebbe in pericolo i cristiani della Siria

 

Damasco, 5 settembre 2012.

Ma’lula è un villaggio raccolto nel parte occidentale della Siria, a circa una cinquantina di km da Damasco. Insieme ad altre due comunità limitrofe è uno dei pochi posti al mondo dove si conserva e si parla ancora la lingua aramaica (nella sua versione conosciuta come “neo-aramaico occidentale”). Infatti l’insediamento deriva il proprio nome da una parola aramaica che significa “entrata”. Il borgo, abitato da cristiani di confessione melchita, è stato costruito sul fianco di una montagna, per motivi di sicurezza, a 1500 metri di altitudine. Al suo interno sono conservati due monasteri cui si legano le vicende del cristianesimo locale. Il primo, quello di Mar Taqla, ossia Santa Tecla, è intitolato alla figlia di un principe seleucide, vissuta intorno al I secolo d.C. e seguace di San Paolo. Poiché il padre aveva tentato di catturarla per convincersi ad abiurare la sua fede in Cristo, Tecla si rifugiò presso la montagna ai cui piedi poi sorgerà Ma’lula. Qui, grazie alle incessanti preghiere, avvenne un miracolo: la parete rocciosa si squarciò e Tecla poté trovare riparo al suo interno. Il monastero di Mar Sarkis è invece dedicato ai Ss. Sergio e Bacco e risalirebbe, nelle sue forme originarie, al IV secolo d.C. Sorge in corrispondenza dei resti di un tempio pagano il cui culto era rivolto ad Apollo. L’interno della chiesa del monastero è spettacolare e conserva al suo interno elementi coevi alla sua prima costruzione. Notevole l’altare del IV secolo, una struttura litica a semicerchio con bordi rialzati alle estremità, che ricorda da vicino le are sacrificali di ambito pagano.

Ma non è solo il centro di Ma’lula a provocare sentimenti di bellezza e spiritualità. In tutto il territorio circostante è un abbondare di chiese, santuari e monasteri. Ecco perché questo luogo, da sempre, è meta di pellegrini cristiani e musulmani i quali visitano Ma’lula per rendere omaggio alla Vergine e chiedendo alla divinità protezione e benedizione.

A Ma’lula la vita continua, scorre, malgrado gli scontri e la violenza degli ultimi mesi. La tensione è altissima, palpabile. Posti di blocco dei militari ovunque. I soldati presidiano le strade intorno al villaggio e le principali vie d’accesso, in particolar modo quelle che conducono verso sud, in direzione del cuore politico e istituzionale della Siria, Damasco.

Durante il tragitto che conduce a questo luogo mistico padre Elias Salloum, titolare della parrocchia di Jaramana, quartiere alla periferia di Damasco, abitato prevalentemente da cristiani e drusi, ci racconta la situazione dei suoi correligionari in Siria e si domanda come mai ci sia così tanta attenzione “solo” per la comunità cristiana, dato che a suo dire è tutto il popolo siriano a essere in difficoltà.

Il suo timore è che puntando l’obiettivo esclusivamente sui cristiani si perda di vista il problema generale, che è comune a tutti i siriani, di qualsiasi confessione religiosa essi siano.

“Noi siriani viviamo nello stesso territorio, respiriamo la stessa aria, anche se abbiamo religioni diverse. Ci sorprende che l’Occidente politico riponga tutto questo interesse sui cristiani. Noi viviamo tutti insieme con grande sofferenza, dico ai politici occidentali: ‘Non vogliamo il vostro aiuto, i nostri problemi arrivano proprio dai politici occidentali’. Nella nostra zona, Jaramana, alla periferia di Damasco, i francesi anche in passato sono intervenuti destabilizzando l’equilibro esistente per poi tentare di risolvere quanto essi stessi avevano creato, facendo i propri interessi. L’intervento degli Stati Uniti si spiega solo come un tentativo di difendere Israele, che vuole uno stato con un’unica religione, lo Stato Ebraico. L’Occidente vuole solo imporre il proprio dominio sul nostro popolo, attraverso il denaro. Qui Dio non appare buono perché porta la guerra, impartisce ordini e diffonde disperazione. Ci si attende un nuovo Dio che porti amore in questa terra. L’Occidente sfrutta l’ignoranza e la diversità religiosa per tenere sotto il giogo i nostri popoli. Ognuno uccide pensando di far la volontà di Dio, questa è la distorsione di questo mondo, non mi piace Assad né il suo modo di pensare, ma il nostro presidente ha ragione quando cita il principio della cittadinanza. Qualunque persona siriana è un cittadino. Non esistono minoranze, ognuno rappresenta una maggioranza; non possiamo né dobbiamo dividere le persone ma unirle”.

Poi aggiunge: “Sbaglia chi difende lo Stato in maniera aprioristica, bisogna criticare lo Stato quando questo sbaglia. Io critico lo Stato, il politico non è divino, sbaglia come i religiosi, come me. Difendendo gli interessi e i diritti dei singoli si difende l’attuale sistema politico. Ho parlato con tanti dell’opposizione per cercare di convincerli, ma sono sempre più persuaso che la guerra in Siria sia progettata dall’esterno, i siriani lavorano, forse inconsciamente, per un potere esterno alla Siria”.

Quindi spiega: “Il pensiero occidentale, secondo il quale il Dio musulmano uccide mentre il Dio cristiano è un Dio d’amore, è solo un pretesto per imporre la propria supremazia. L’Occidente è egoista, pensa di schiacciare gli altri per vivere, dividendo il mondo musulmano in sunniti e sciiti. L’azione repressiva nei confronti della rivolta scoppiata nel nostro Paese non ha fatto altro che accrescere il problema, come una valanga. Ora però la palla è diventata troppo grande. Anche i ribelli hanno sbagliato, Assad vuole risolvere il problema con minore dispendio di energie, ma dall’esterno lavorano perché questo non accada. Gli integralisti sono il male del mondo, non ragionano e uccidono, c’è troppo poco dialogo. I media sono comandati dai potenti che non vogliono risolvere il problema. Ho fatto il servizio militare unico cristiano tra tanti musulmani, ho parlato con loro ed è nata un’amicizia. La guerra in Siria c’è perché si sfrutta la religione per ottenere denaro e potere. Il Papa non riesce a far nulla perché la politica è più forte di lui, ma fa bene la Chiesa a difendere questo tipo di sistema. Se cade questo sistema, tutti si pentiranno, perché l’opposizione non ha un progetto: ‘O sei con me o contro di me’, questa è la loro democrazia”.

Parla a bassa voce per non turbare l’autista musulmano e mi descrive la situazione: “Il Corano ha dei versetti troppo interpretabili, ecco il problema. Alcuni versetti sono troppo rigidi. L’Occidente vuole che prevalgano gli integralismi, perché mantenendo il popolo nell’ignoranza si può prevalere e dominare. Usano il nome di Dio per uccidere, ognuno di loro si è creato il suo Dio e in nome di quel Dio uccide. Ecco cosa temiamo noi cristiani in Siria, chiediamo ai fratelli musulmani di professare un unico concetto di violenza, dobbiamo definire con esattezza cosa sia la violenza, per poterla combattere tutti insieme. L’insegnamento di Cristo è chiaro: la non violenza, l’amore, il rispetto. Nonostante ciò anche i cristiani si sono uccisi tra loro; se è successo tra cristiani questo pericolo è ancora più forte tra musulmani, poiché il Corano consente l’omicidio”.

Nonostante il pericolo sia sempre in agguato, le suore locali educano i ragazzi di diverse religioni. Gli allievi organizzano per noi una rappresentazione e ci riservano una grande accoglienza con canti in aramaico, poi visitiamo la grotta di Santa Tecla, dove beviamo dalla fonte.

Il tutore del santuario, padre Matteo Addad, che incontriamo poco dopo, mi esorta a portare il suo messaggio in Italia: “Tutto questo è un complotto contro la Siria, Assad è un brav’uomo, che vuole la pace; sono gli integralisti islamici che vogliono la distruzione della Siria. Gli interessi dell’Occidente sono solo politici ed economici, i cristiani in Siria sono in pericolo, l’integralismo importato dalle potenze occidentali vuole cancellare la Siria. Per questo bisogna difendere Assad”.

Il prete recita per noi il Padre Nostro in aramaico e continua: “Stanno partendo salafiti da tutto il mondo verso la Siria, ora li portano via dallo Yemen per catapultarli qui; ma nessuno riuscirà a prevalere con le armi, si vince con le idee. Prega perché in Siria torni la pace e prega per il Presidente Bashar”.

La “grande madre” responsabile del monastero e della scuola ci dice: “Proteggete il Presidente Assad e portate la verità in Italia”.

Tutti vogliono parlare per darci il loro messaggio. Persone sincere che si esprimono con il cuore e con la preghiera, pregano per noi e per la pace, invitandoci a trasmettere un messaggio molto chiaro. Sembra che per loro la nostra delegazione rappresenti una speranza; e questa loro speranza è la pace, la possibilità di continuare a pregare nella loro terra. E anche noi ci convinciamo che per il problema tragico della Siria non ci sia altra soluzione se non lavorare per la pace.





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