La riscossa della Siria, sola contro tutti


Damasco dall'alto Sono sempre troppo brevi i viaggi a Damasco, sembra che il tempo passi troppo in fretta in questa città dal caratteristico profumo di gelsomino. Una città che in questi due anni è divenuta protagonista della scena mondiale, non certo per la sua storia millenaria e neanche per la straordinaria bellezza delle sue piazze e degli antichi palazzi, ma perché teatro di una guerra iniqua. Una guerra che sembra avulsa dalla realtà siriana e dai siriani stessi. Una guerra importata come un’epidemia, dall’esterno, voluta da chi pensa che sia più proficuo un Medio Oriente diviso e povero e che rifiuta di accettare lo sviluppo e la crescita di una civiltà artefice della storia del mondo. La gente di Damasco sembra non voler subire gli effetti del conflitto, tollera i controlli, quei ceck point militari che presidiano gli ingressi di ogni singolo quartiere, i cittadini continuano a vivere le loro esistenze con dignità e spirito di sopportazione. Fin dalla mattina nonostante il Ramadan, che affatica i fisici e tempra le menti, le strade della città sono molto frequentate, i taxi e le auto dei privati  sfrecciano per le vie della capitale, i negozi sono aperti, le donne camminano per le strade, questa è una Damasco viva. I bambini non hanno mai smesso di andare a scuola, nelle loro scuole, multiconfessionali dove convivono in armonia mussulmani, cattolici e armeni, un’offerta formativa competitiva e multidisciplinare in grado di garantire una formazione completa, per i bambini siriani di ieri e come per quelli di oggi, l’educazione all’integrazione rappresenta un caposaldo nella formazione di ogni buon cittadino siriano. Il rifiuto per l’integralismo è un mantra che ripetono le persone che incontriamo e con le quali abbiamo la possibilità di parlare; la monocultura integralista salafita spaventa chiunque, lo si legge negli occhi dei giovani che lavorano nei bar, nei ristoranti, presso i distributori di benzina, ci accolgono con fare circospetto, ma appena comprendono da quale parte stiamo, si aprono in sorrisi di sollievo. Tutti si sentono impegnati nella difesa del proprio Paese, tutti si sentono autorizzati ad esercitare il proprio controllo su quello che accade, a denunciare eventuali comportamenti sospetti. Una sorta di guardia civile e popolare che controlla e tutela la collettività, in questa fase di pericolo, non vi è chiusura ma un tentativo costante di confronto con gli stranieri, il tentativo della gente di comune di comprendere il motivo di tanta acredine, di capire quale sia l’origine di quest’odio del mondo nei confronti della Siria. Più di ottanta paesi si sono schierati contro Damasco e il suo presidente, come se la Siria fosse patria di immense nefandezze. Non era la richiesta di riforme legittime la motivazione all’origine dell’attacco e della rivolta? Ormai è chiaro all’opinione pubblica mondiale, che i veri motivi sono rappresentati dalla scelta scellerata dell’Occidente di assecondare i piani criminali degli Emirati Sauditi e del Qatar e le mire espansionistiche della fazione politica dei Fratelli Mussulmani, capeggiata da Erdogan. Sono quegli stessi Emiri che cedono il potere ai propri figli e che considerano le donne esseri inferiori, che chiedono democrazia nei luoghi e nelle occasioni che reputano opportune e al contempo continuano a perpetuare le proprie discendenze familiari e tramandare il potere di padre in figlio, disinteressandosi totalmente del parere dei propri “sudditi” e sostenuti soltanto dal Dio petrolio. Usare ogni mezzo possibile, sfruttare l’ottusità di Jaidisti e Salafiti, allearsi con i terroristi talebani, pur di abbattere quello che appare come l’anello debole di una nuova alleanza mondiale che si contrappone politicamente all’Occidente, l’asse Mosca- Teheran- Damasco. Ma non sono bastati i Talebani e gli Jaidisti venuti da ogni parte del mondo: Cecenia, Tunisia, Afghanistan, Europa per piegare il popolo siriano che ha saputo reagire e pian piano sta restaurando il proprio modello di convivenza civile. Nulla sarà come prima, questo è ovvio, il seme della diffidenza, della guerra è stato piantato e sarà difficile estirparlo. Ci vorranno anni perché si dimentichi questa dura guerra che continua a seminare morte su entrambi i fronti e soprattutto fra i civili inermi e non colpevoli. Il popolo siriano ha una sola colpa credere nella libertà e nell’integrazione religiosa, un modello da tutelare non da abbattere. Ma, si sa l’Occidente ha la naturale tendenza a distruggere sempre quello che appare diverso rispetto ai propri modelli globalizzati, la storia ce lo ha insegnato.

Raimondo Schiavone




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