Lega araba, Stati Uniti ed Europa assicurano soldi e armi alla caotica galassia dei ribelli anti-Assad che rispettano solo la loro legge
di Michele Giorgio
Roma, 8 marzo 2013, Nena News - "Saranno tutti liberati oggi, dopo la preghiera islamica di mezzogiorno", assicura un portavoce del Consiglio nazionale siriano, principale raggruppamento dell'opposizione, in merito agli osservatori filippini dell'Undof (Onu) presi in ostaggio due giorni fa ai piedi delle Alture del Golan dalle brigate islamiste "Martiri di Yarmouk". Ma gli ostaggi per ora rimangono nelle mani dei loro rapitori.
A sperare nella liberazione in tempi stretti sono le autorità di Manila e le famiglie degli ostaggi che, da parte loro, ieri sono riusciti a far sapere di stare bene. Un video postato su Youtube mostra uno dei caschi blu che racconta di violenti combattimenti scoppiati l'altro giorno mentre gli osservatori pattugliavano la zona dove poi sono stati catturati da dei "civili". Civili che si sono trasformati in rapitori che hanno minacciato di considerarli "prigionieri" veri e propri.
Per il sottosegretario agli esteri italiano Staffan De Mistura il rapimento «è un gesto veramente incomprensibile e inconcepibile perché i soldati filippini facevano un lavoro rispettato da tutti, quello di interposizione per impedire un incidente con Israele da parte della Siria o viceversa». L'accaduto, ha aggiunto, «non getta una buona luce su una parte della rivolta siriana».
Rivolta che è incondizionatamente difesa dal suo superiore, il ministro Terzi, che ieri ha di nuovo elogiato il ruolo dell'Italia che, a suo dire, avrebbe creato alla riunione dei cosiddetti «Amici della Siria» della scorsa settimana a Roma, le condizioni per la «svolta» nell'atteggiamento degli Usa disposti ora a finanziare con 60 milioni di dollari i rivoltosi e a fornire «armi non letali» a chi combatte il regime siriano.
Terzi si attribuisce troppi "meriti". In realtà la "svolta" era già stata concepita da tempo dall'Amministrazione Obama. Non è certo un caso che la decisione presa due giorni fa dalla Lega araba di autorizzare i paesi membri a rifornire di ogni genere di armi i ribelli siriani, sia giunta durante il viaggio in Arabia saudita e in altri Stati arabi alleati compiuto dal Segretario di stato John Kerry. D'altronde solo un ingenuo può credere che gli Usa non forniranno armi vere ai rivoltosi siriani. Non lo faranno direttamente ma attraverso le petromonarchie del Golfo nemiche del presidente siriano Bashar Assad.
Gli sviluppi del sequestro degli osservatori sono seguiti con attenzione anche a Tel Aviv. Non è da escludere del tutto una sospensione della missione dell'Undof che dal 1974 sorveglia le linee di armistizio tra Israele e Siria sul Golan, occupato dallo Stato ebraico nel 1967. Il Giappone ha ritirato i suoi soldati e la Croazia ha fatto sapere che probabilmente farà altrettanto con suoi 100 caschi blu (circa il 10% del contingente Undof) per «ragioni di sicurezza» dopo che il New York Times ha riferito che Zagabria rifornisce di armi i ribelli.
Mentre il governo Netanyahu lancia avvertimenti sull'estendersi oltre le linee del Golan della guerra civile siriana, gli esperti militari israeliani mettono in rilievo che se da un lato l'eventuale uscita di scena di Assad significherà la tanto desiderata fine dell'alleanza tra Damasco e Tehran, dall'altro Israele dovrà abituarsi a convivere con la presenza di gruppi islamisti radicali fuori controllo lungo le linee di armistizio, come dimostra il rapimento dei 21 osservatori dell'Onu. Tutto ciò nel quadro di una soluzione "politica" in discussione tra Mosca e Washington. Secondo Zvi Magen, un'analista senior dell'Institute for National Security Studies di Tel Aviv, i russi alleati di Assad avrebbero accettato l'idea di una fine a tappe del regime di Damasco in cambio dell'assicurazione ricevuta dagli americani sostenitori dei ribelli, che potranno continuare a curare i loro interessi nella regione.
È una tesi non infondata visto che, di pari passo con gli sviluppi sanguinosi della guerra civile, la «politica» sembra fare il suo corso. Martedì prossimo in Turchia il Consiglio nazionale siriano (Cns), la principale forza di opposizione ad Assad, eleggerà il "primo ministro" di un "governo provvisorio" contrapposto a quello di Damasco, incaricato di gestire le «zone liberate». È l'inizio della frantumazione amministrativa della Siria. La nomina era prevista lo scorso 2 marzo ma i Fratelli musulmani, la componente maggioritaria nel Cns, hanno bloccato tutto, in modo da silurare le proposte fatte dalle altre formazioni e per imporre il loro candidato. Nena News
Inviato da Anonimo il Ven, 08/03/2013 - 13:47
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