Nei primi giorni del 1979 in Iran, dopo un anno di manifestazioni quotidiane e di duri scontri, che avevano portato il Paese al caos e causato per via della repressione del regime reazionario filoamericano del monarca Mohammad Reza Pahlavi, migliaia di vittime tra le fila dei rivoluzionari, ci fu la partenza dello Shah, ufficialmente per motivi di salute dall’aeroporto di Mehrabad di Tehran verso il Cairo, dove era al potere Sadat, intimo amico del governo iraniano. La partenza di Pahlavi, che lasciava un Paese martoriato ed umiliato, non solo dall’autocrazia e dalla corruzione del regime, ma anche e soprattutto dalle ingerenze del governo nordamericano e da Tel Aviv, causò molta gioia tra il popolo iraniano, che finalmente vedeva avvicinarsi l’ora del trionfo rivoluzionario, anche se la guida indiscussa del movimento, l’imam Khomeini, era ancora in esilio all’estero, in Francia. La situazione evidentemente stava degenerando e il regime stava progressivamente perdendo il controllo della situazione; prima di partire però il monarca aveva nominato un nuovo governo, presieduto dal nazionalista Shapur Bakhtiar, che aveva il compito di salvare il regime dal tracollo, puntando evidentemente sul fatto che egli proveniva da un partito, il Fronte Nazionale, impegnato nei decenni precedenti in alcune lotte nazionali. Ma il popolo iraniano non si fece ingannare dall’apparenza di un individuo, Bakhtiar appunto, che scandiva slogan nazionalisti, ma in realtà era completamente legato al vecchio regime e agli interessi coloniali degli americani.
L’imam Khomeini, dal suo esilio, raccomandò alla nazione di non cadere nel tranello del “governo di transizione”, in quanto esso era solo una trappola per cambiare solo la testa del regime, senza cambiane il corpo. La nazione iraniana allora non abbandonò le piazze e gli scontri continuarono, fino a quando, il primo febbraio dello stesso anno, l’imam Khomeini, rischiando anche la vita, rientrò in Iran, e il governo di Bakhtiar, pur minacciando di abbattere l’aereo AIR FRANCE proveniente da Parigi, non riuscì in ogni caso a fermare il rientro della guida della Rivoluzione. Una volta tornato a Tehran, l’imam continuò la sua campagna contro il governo, fino a quando non ci fu la completa caduta del regime e la fuga anche di Bakhtiar; così, finalmente l’Iran era libero di scegliersi il futuro che voleva, senza le ingerenze dell’imperialismo. La transizione però dalla monarchia asservita allo straniero ad uno Stato islamico rivoluzionario indipendente non fu semplice, in quanto gli USA cercarono in tutti i modi di deviare il corso della Rivoluzione, attraverso alcuni personaggi legati o alla CIA, o in ogni caso a persone poco preparate per affrontare un processo rivoluzionario autentico. L’imperialismo quindi, una volta defenestrato, cercò di rientrare in Iran sotto altre vesti. Infatti, perse le speranze di deviare il percorso rivoluzionario per mezzo del governo Bakhtiar, la CIA cercò dei contatti all’interno del fronte rivoluzionario, trovando appoggi in alcuni personaggi relativamente importanti nella politica iraniana. Tra questi individui, possiamo citare apertamente il primo ministro del governo provvisorio Mehdi Bazargan, che aveva una linea riformatrice, non rivoluzionaria. Egli tutto sommato, non sentiva la necessità di avere ostilità nei confronti delle ingerenze americane, e cercò anche contatti con esponenti di spicco dell’amministrazione Carter.
Altri personaggi successivamente coinvolti nei piani della CIA per deviare a proprio vantaggio il corso degli eventi, ovvero di cavalcare la rivolta, furono un sapiente religioso, l’Ayatollah Shariatmadari, insieme ad uno stretto collaboratore dell’imam Khomeini, Qotbzadeh, un personaggio quest’ultimo che cambiò casacca all’improvviso, come spesso accade in questi casi. Egli una volta pronunziò una frase celebre: “Se l’imam Khomeini mi chiedesse di andare a pulire i bagni, io lo farei.” Dopo qualche tempo decise di tradire l’imam, la nazione iraniana e la Rivoluzione islamica, attraverso un piano segreto organizzato dalla CIA, che vedeva la collaborazione fra l’Ayatollah Shariatmadari, lo stesso Qotbzadeh e una serie di ufficiali delle forze aeree iraniane, ancora legate al vecchio regime. Il piano consisteva nel bombardare l’umile dimora dell’imam Khomeini, ma poche ore prima che il piano diabolico fosse attuato, le autorità sventarono l’operazione. Tutto ciò per far vedere come sia molto difficile fare la Rivoluzione, ma sia ancor più difficile mantenerla su binari ortodossi. D’altronde, la presenza di una grande guida come l’imam Khomeini è sempre stato un baluardo contro la degenerazione della causa rivoluzionaria.
Gli americani lungo tutta la loro storia neocoloniale, hanno sempre cercato di opporsi a qualsiasi rivolta che mettesse in pericolo i loro interessi; ma una volta che i piani di controrivoluzione fallivano, essi hanno sempre cercato nuovi appoggi all’interno del fronte rivoluzionario, onde far deviare il percorso antimperialista, e normalizzare la situazione. Una strategia simile a quella che oggi gli americani stanno utilizzando nel mondo arabo; anche nei Paesi arabi come in Iran, la gente si era stancata di alcuni regimi, per vari motivi, dalla corruzione a problemi sociali, fino all’asservimento cieco dei governanti nei confronti delle potenze neocoloniali. Il problema però nel mondo arabo è che, da un lato manca una leadership carismatica e rivoluzionaria, una persona come l’imam Khomeini, d’altro canto vi sembra esserci una non completa maturazione da parte delle masse. Senza dimenticare poi che, per fare una rivoluzione è indispensabile un’ideologia rivoluzionaria. Tre fattori questi che hanno sempre caratterizzato i percorsi rivoluzionari antimperialisti nella storia, soprattutto nel Novecento. Volendo infatti analizzare le rivoluzioni, soprattutto quelle che sono ancora inquadrate in un percorso storico progressista, soprattutto dal dopoguerra ad oggi, notiamo la presenza dei tre fattori sopracitati, ovvero: 1) guida carismatica rivoluzionaria. 2) Consapevolezza politica e lungimiranza delle masse popolari. 3) Scuola di pensiero rivoluzionaria.
Se noi osserviamo oggi quelle esperienze rivoluzionarie che ancora a distanza di anni mantengono i presupposti e i cardini politico-ideologici che le fanno appunto essere delle rivoluzioni vive, notiamo la presenza di questi tre fattori. Guardando un’esperienza rivoluzionaria recente, che vede la mobilitazione permanente delle masse lungimiranti (vi è quasi un’elezione all’anno), ovvero la Rivoluzione bolivariana e socialista del Venezuela, vediamo la presenza sia di un leader carismatico (il comandante Hugo Rafael Chavez Fria), sia la presenza di un’ideologia rivoluzionaria, che ha saputo coniugare l’antimperialismo con il socialismo e il pensiero di determinati intellettuali sudamericani (Simon Bolivar, Augusto Cesar Sandino, Josè Martì, Camillo Torres ecc.), senza dimenticare il ruolo attivo delle masse. Riguardo a quest’ultimo punto notiamo come durante quest’ultimo anno, che ha visto il comandante Chavez, spesso assente dalla sua patria per motivi di salute, la Rivoluzione bolivariana è proseguita senza nessuna interruzione: dalle masse è sorta una nuova classe dirigente che sarà il faro che guiderà successivamente questa nazione sudamericana.
Per fare un altro esempio, sempre appartenente alla stessa area culturale e geografica, non possiamo non citare l’isola che resiste, ovvero la Cuba rivoluzionaria e socialista. Ci vengono in mente a questo proposito coloro i quali affermavano circa 25 anni fa, una volta caduto il Muro di Berlino, l’inevitabile fine di quella esperienza rivoluzionaria. Sono gli stessi, che speravano una volta che il comandante “en jefe” Fidel Castro Ruiz passasse il timone della leadership a suo fratello Raul, che Cuba abbandonasse l’asse rivoluzionario e antimperialista mondiale aprendosi, o per meglio dire sottomettendosi agli USA. Questi due esempi dimostrano come si siano create sia nell’isola caraibica, sia nella nazione sudamericana, delle classi dirigenti che in tutti i settori della nazione (lavorativo, economico, sindacale, militare, scolastico, educativo ecc.) hanno saputo portare avanti l’ideologia rivoluzionaria, guidando così le masse verso la consapevolezza e la lungimiranza politica.
Tutto ciò è pure riscontrabile, “mutatis mutandis”, in altre zone del globo: dalla Cina popolare alla Corea socialista fino al mondo islamico, principalmente per quest’ultimo Siria, Iran e Hezbollah. Fattori simili sono presenti, in quanto, leader del calibro dell’imam Khomeini, dell’Ayatollah Khamenei, di Seyyed Hasan Nasrallah e di Hafez Assad, hanno saputo donare alle masse popolari un’ideologia rivoluzionaria, che le ha plasmate, e hanno saputo creare una classe dirigente rivoluzionaria. Fulgidi fiori di queste classi dirigenti risultano essere i presidenti Ahmadinejad e Bashar Assad. Non a caso, dopo la dipartita dell’imam Khomeini, o del presidente generale Hafez Assad, il processo rivoluzionario in queste due nazioni ha mantenuto, se pur fra alti e bassi, una sua coerenza ideologico-politica antisionista e antimperialista.
Ora, volendo comparare i processi rivoluzionari realmente antimperialisti, con altri tipi di movimenti e sommosse, apparentemente popolari, tipo le cosiddette primavere colorate o arabe, notiamo subito delle grandi differenze. La prima grande diversità che balza agli occhi è la mancanza di guide carismatiche che orientino questi processi pseudo rivoluzionari. Dall’Egitto, alla Tunisia, alla Libia vediamo come queste sollevazioni che (in Libia assolutamente no) hanno visto, comunque una discreta partecipazione di popolo, non siano state guidate da autentici e carismatici leader che potessero guidare le masse verso l’emancipazione e la saggezza politica. D’altronde l’imperialismo in tutte le rivoluzioni cerca di mettere suoi uomini in ogni schieramento, sia quello rivoluzionario, che quello antirivoluzionario, onde potere così sempre controllare il Paese. La mancanza di autentici leader rivoluzionari fa si che gli Stati Uniti d’America e l’Occidente possano continuare a dormire sonni tranquilli per quanto riguarda le faccende di Egitto, Tunisia e Libia. In quest’ultimo Paese dobbiamo dire che non vi è neanche stata una seppur piccola mobilitazione popolare: abbiamo solamente avuto un’aggressione esterna con mercenari locali.
Una situazione simile c’è stata, e vi è purtroppo tuttora in Siria, dove terroristi da ogni angolo del mondo arabo e non solo, hanno invaso il Paese, sostenuti da attori esterni, come NATO e alcuni paesi arabi, per abbattere il governo rivoluzionario siriano. In realtà, quella in atto in Siria, ha le caratteristiche tipiche di un processo controrivoluzionario, fomentato dall’esterno, per far deviare la “vera” Rivoluzione, quella che in Siria, ha governato il Paese da decenni, prima sotto la guida di Hafez Assad, e ora col figlio Bashar. Da tutto ciò comprendiamo come una sollevazione o ribellione, non può essere considerata una rivoluzione, se in essa non vi sia un’ideologia rivoluzionaria, una guida carismatica e un popolo desto. I processi rivoluzionari autentici, quelli che è bene definire antimperialisti, si distinguono nettamente dalle primavere o rivolte controrivoluzionarie, in quanto le prime colpiscono al cuore l’egemonia oppressiva delle forze reazionarie del mondo, principalmente quella del governo nordamericano, mentre le seconde, non sono necessariamente una minaccia per gli interessi dell’imperialismo, anzi, in alcuni casi questi processi sono ampiamente sostenuti dagli USA. A testimonianza di ciò, quante volte abbiamo sentito la dirigenza americana e addirittura sionista sostenere i ribelli in Siria? La risposta a questa domanda fa capire tutto…
Inviato da Anonimo il Gio, 17/01/2013 - 14:05
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