di Giorgia Grifoni
Roma, 5 gennaio 2012, Nena News - E' il primo governo, quello australiano, a fare dichiarazioni ufficiali ed elencare i provvedimenti che rischia chi si unisce alla ribellione siriana: 20 anni di carcere in patria e 7 per chi recluta, secondo una legge del 1978 in base alla quale "è vietato recarsi in un paese straniero con l'intenzione di partecipare alle ostilità".
Il portavoce del ministro degli esteri Bob Carr è stato esplicito: Canberra avrebbe ricevuto informazioni secondo le quali sarebbero almeno 100 i cittadini australiani armi in mano in Siria e almeno 3 di loro sono già morti negli scontri, come riportato dall'Osservatorio siriano per i Diritti umani. A detta di Canberra, i mercenari che andrebbero a ingrossare le fila della ribellione anti-Assad sarebbero membri delle comunità non anglofone del paese, figli della più recente immigrazione e lasciati partire per la Siria con la scusa del volontariato e degli aiuti umanitari. Una scheda che potrebbe essere redatta in altre parti del mondo, dall'Asia centrale all'Europa.
L'aveva detto, il vice ambasciatore russo presso l'Onu a Ginevra, all'inizio dello scorso anno, ma era stato vago: "sono almeno 15.000 gli stranieri che combattono contro le forze del presidente siriano Bashar al-Assad". Il regime, dal canto suo, aveva dichiarato i ribelli un esercito di mercenari sanguinari entrati in Siria per creare anarchia. I servizi di intelligence tedeschi avevano invece azzardato cifre inverosimili: solo il 5 per cento dei combattenti siriani sarebbe siriano. E i think tank occidentali si erano avvicendati a precisare stime e provenienze: sono in numero crescente, ma costituiscono una fetta minore della ribellione siriana.
Residuati del passaggio di jihadisti che andavano ad unirsi ad al-Qaeda in Iraq negli anni 2004-2009, prodotto dell'occhio cieco di Bashar al-Assad che non si era curato di controllarli. Nostalgici di un emirato mai conosciuto ma invocato nelle battaglie di Iraq, Afghanistan e Yemen. Ma anche nuove reclute, secondo quanto emerge da vari reportage da Aleppo, ansiose di unirsi alla lotta per la liberazione del popolo siriano contro l'odiato Assad. Entrano dal sud della Turchia, dove per troppo tempo il primo ministro Erdogan ha chiuso un occhio prima di accorgersi che questo esercito avrebbe fatto solo gli interessi degli emiri del Golfo. Per arrivare ad Aleppo, basta solo arrampicarsi su per le montagne.
Secondo un'analisti del Washington Institute, nei primi sei mesi del 2012 erano riusciti ad entrare in Siria tra i 700 e i 1400 combattenti stranieri. Formavano allora dal 4 al 7 per cento della ribellione contro Bashar al-Assad. Ma nei sei mesi successivi le stime indicano che il loro numero è stato in costante aumento, soprattutto nei pressi della città di Aleppo e in generale nel nord della Siria. Vengono dal Nord Africa e dai paesi Arabi, ma anche dal Caucaso, Europa, e Asia sud-orientale.
I contingenti più grandi - dai 500 ai 900 uomini - sono largamente costituiti dai vicini della Siria: iracheni, giordani, libanesi e palestinesi. Lottano contro i soldati filogovernativi per il controllo di scali strategici, come l'aeroporto militare di Taftanaz, da cui partono i raid aerei nella provincia. Secondo l'Osservatorio siriano per i Diritti umani, sarebbero circa 800 i ribelli impegnati nella battaglia, quasi tutti provenienti dal gruppo Jabhat al-Nusra, il Fronte del Sostegno.
Accusata di uccidere e torturare la popolazione, l'unità combattente jihadista più importante della Siria - quella che ad Aleppo tiene in pugno i vari gruppi di ribelli che compongono l'Esercito siriano libero con i petrodollari e con le tecniche di guerriglia più avanzate - è stata recentemente inserita da Washington nella lista nera delle organizzazioni terroristiche. Nata poco meno di un anno fa, è l'unica unità presente in Siria a essere riconosciuta da al-Qaeda. Si è fatta un nome nella ragnatela siriana reclamando la responsabilità di un attentato a Damasco a gennaio dello scorso anno, ma si è subito spostata al nord, terreno più fertile e meno controllato dalle forze di Assad.
Secondo una scheda redatta dall'Economist, al-Nusra conta circa 7.000 unità, poco meno della metà di tutte le forze ribelli in campo in Siria.
Dagli ultimi reportage da Aleppo emerge come, nonostante la dichiarazione di jihad globale e l'intenzione di stabilire un emirato islamico nel nord della Siria, parte della popolazione si senta più vicina a questa formazione che non agli altri gruppi dell'Esercito siriano libero, chiamati più volte "l'esercito dei criminali". Specialmente tra i più poveri e depredati. Sembrerebbe, infatti, che questa fazione non saccheggi e devasti come le altre. Alcuni residenti di Aleppo intervistati dall'Economist, che non volevano che i gruppi di ribelli entrassero in città, hanno dichiarato di vederli focalizzati sulla battaglia piuttosto che sul saccheggio. Forniscono armi e soldi puntualmente provenienti da Riyadh e Doha anche alle formazioni alleate e sono tra i quattro gruppi di ribelli più numerosi nel paese.
Stranieri e islamici radicali. Un'accoppiata che, se suona allarmante nel pieno del conflitto, a fine guerra lo sarà ancora di più, come emerge anche da una commissione d'inchiesta Onu sulla presenza di guerriglieri stranieri nel Paese. Carla Del Ponte, ex procuratore del tribunale internazionale dell'Aja, l'ha riassunto chiaramente: "Questo è un elemento molto pericoloso e lo sarà di più soprattutto nel dopo, ossia quando il presidente Assad non sarà più in carica e il regime sarà cambiato. Perché questi mercenari che combattono al fianco degli opponenti sono molto addestrati alla guerra". E non se andranno. Nena News
Inviato da Anonimo il Dom, 06/01/2013 - 18:46
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