Il 102esimo anniversario del genocidio del popolo armeno è stato celebrato nelle ore in cui Taner Akcam, docente turco di storia presso la Clark University del Worcester, ha parlato di "pistola fumante del genocidio armeno" riferendosi al ritrovamento degli ultimi documenti relativi al massacro di circa un milione e mezzo di armeni ad opera dei turchi ottomani. La pistola fumante è un telegramma originale relativo ai processi che seguirono il massacro, riemerso da un archivio del patriarcato armeno di Gerusalemme.
Lo storico turco è risalito a Behaeddin Shakir, l'ufficiale dell'impero che avrebbe reso esecutivo il "primo genocidio del ventesimo secolo". Il telegramma in questione, come una montagna di altri documenti, finì impilato in 24 scatoloni imbarcati in fretta e furia su una nave che li avrebbe portati in Inghilterra nel 1922, quando i nazionalisti turchi stavano prendendo il potere nel Paese e in particolare nel nord est, nella regione di Erzurum, teatro della strage.
Gli scatoloni, come ha ricordato anche l'Agenzia Italia, "finirono poi in Francia e in ultimo a Gerusalemme, dove dopo anni di tentativi a vuoto il professor Akcam è riuscito finalmente a visionarne una parte. Il colpo di scena arriva per grazie a Krikor Guerguerian, monaco armeno scampato ai rastrellamenti, che negli anni 40 al Cairo apprende da un ex giudice ottomano che i documenti sono a Gerusalemme. Guerguerian ci va e li fotografa, prima che finiscano nelle mani di suo nipote a New York. La conferma Akcam la trova nel confronto tra i documenti fotografati dal monaco e le lettere dell'epoca conservate negli archivi di Istanbul. La storia ricompone un puzzle che vide il 24 aprile di 102 anni fa Bahaeddin Shakir ordinare dei rastrellamenti in cui sarebbero morti un milione e mezzo di persone, 450 mila secondo i turchi".
Una pistola fumante che, in realtà, si aggiunge, ultima, ad una mole di documenti e di prove raccolte nel corso di oltre un secolo di storia. E con questa consapevolezza, il Centro Italo Arabo e del Mediterraneo ha commemorato un crimine che la Turchia continua a negare ancora oggi, compiendo, così, “l’atto finale di un genocidio”. A Carloforte, località suggestiva della Sardegna, il giornalista Alessandro Aramu ha presentato un volume scritto con altri due reporter Gian Micalessin e Anna Mazzone, dove sono raccolte le testimonianze degli ultimi sopravvissuti. Il volume edito da Arkadia (Il genocidio armeno: 100 anni di silenzio – Lo straordinario racconto degli ultimi sopravvissuti) è nato grazie alla collaborazione con l’Ambasciata d’Armenia in Italia e l’agenzia Armenpress. La prefazione è di Raimondo Schiavone e le foto sono di Romolo Eucalitto.
“Fino a quando saranno in vita questi uomini e queste donne – ha ricordato Aramu – quel crimine rappresenterà una ferita capace di sanguinare anche nel presente. La loro memoria individuale è la memoria di un’intera nazione, un esercizio collettivo per tenere viva la barbarie del passato con la speranza che in futuro certi crimini contro l’umanità non si debbano più ripetere”.
Aramu ha anche ricordato la sistematica attività di intimidazione e di pressione che Ankara porta avanti nei confronti di tutti coloro che parlano di genocidio. A tal fine, l’autore ha ricordato come anche di recente l’ambasciatore turco in Italia abbia scritto ai sindaci per invitarli a non usare il termine genocidio per riferirsi al massacro degli armeni, scoraggiandoli anche dal partecipare a eventi pubblici: “Si tratta di un’ingerenza che richiederebbe un’azione forte del governo italiano, questo ambasciatore, come gli altri, andrebbero richiamati”.
Il giornalista del Centro Italo Arabo ha ricordato come l’esercizio della memoria, per produrre frutti, debba avere sempre un occhio rivolto agli accadimenti presenti: “Per questa ragione, nel libro abbiamo parlato della condizione dei cristiani in Medio Oriente, e in particolare in Siria dove sono stati presi di mira dai terroristi dello Stato Islamico e da altri gruppi radicali. Gli armeni, esattamente come 100 anni fa, sono stati costretti a scappare dalle loro case, i loro villaggi sono stati bombardati ed evacuati. Si pensi a ciò che è accaduto nel quartiere armeno di Aleppo, sotto i missili dei cosiddetti ribelli per quasi 4 anni, o nel villaggio di Kessab. Nel volume, grazie allo straordinario reportage di Micalessin, ricordiamo tutto questo”.
Il Centro Italo Arabo e del Mediterraneo in questi anni ha svolto un’intensa attività soprattutto nelle scuole per ricordare il primo grande crimine contro l’umanità del XX secolo, aiutando le nuove generazioni a conoscere una pagina della storia ancora poco conosciuto, soprattutto se paragonata all’altro grande crimine del secolo breve: l’olocausto degli ebrei.
Inviato da Redazione il Gio, 27/04/2017 - 16:28