Intervista a Ammar Moussawi , responsabile esteri Hezbollah


ASI) BEIRUT - Percorro le vie di Beirut in un caldo sabato di primavera, mi accingo a recarmi in uno degli alti palazzoni che caratterizzano la zona sud della città, storico fortino della comunità sciita. E’ al settimo piano di questo edificio che, insieme a un altro gruppo di giornalisti italiani, incontro Ammar Moussawi, responsabile esteri di Hezbollah e deputato del Parlamento libanese. L’accoglienza è più che cordiale, persino amichevole, giacché la nostra presenza in questo luogo è molto apprezzata.

 

Non è affatto comun Ammar Moussawi, responsabile esteri di Hezbollahe, d’altronde, che delegazioni di giornalisti europei scelgano di incontrare esponenti del Partito di Dio, impietosamente bollato da Israele e dai suoi alleati come un covo di terroristi. Questa strumentalizzazione ha ripercussioni mediatiche, le quali procurano a gran parte dell’opinione pubblica occidentale un’immagine di Hezbollah alquanto distorta. In molti pensano, infatti, che il movimento sciita guidato da Hassan Nasrallah sia solo uno tra i più grandi e quindi pericolosi satelliti della cupa galassia del fondamentalismo islamico. Ascoltare il punto di vista di Ammar Moussawi su questioni religiose, relative al delicato rapporto tra le tante confessioni presenti in Libano, è utile a comprendere quanto la verità sia talvolta lontana dai racconti di alcuni organi d’informazione.

La nostra conversazione è molto approfondita, l’esponente di Hezbollah non si rifugia mai in frasi di circostanza e in recite diplomatiche, prende di petto gli argomenti che gli sottopongo e risponde con fare gentile ma in modo rigoroso ed esaustivo. “I cristiani qui in Medio Oriente sono profondamente radicati, essendoci nati, e dunque va conservata questa espressione di pluralismo scongiurando le divisioni”. Queste parole di grande rispetto nei confronti dei cristiani da parte dell’esponente di Hezbollah riavvolgono nella mia mente il nastro della memoria sino al febbraio 2006. Davanti agli occhi mi scorrono le immagini della chiesa maronita di Mar Mikhael, situata nel quartiere di Beirut chiamato Shiyah, dove venne stipulata una storica intesa tra Hassan Nasrallah e il cristiano-maronita Michel Aoun, già Capo di stato maggiore dell’esercito libanese ed oggi guida del Movimento Patriottico Libero. I due leader sancirono un’alleanza che perdura e si rafforza con il tempo, facendo convergere su una linea di difesa nazionale gran parte di due antiche anime religiose della regione. Accordo che appena vent’anni prima sarebbe apparso irrealizzabile, in quel Paese lacerato da una sanguinosa guerra civile che creò un solco di divisione tra le diverse comunità. Oggi, il percorso di maturità politica intrapreso da Hezbollah e dal partito di Aoun permette al Libano di poter contare su una coalizione - plurale e integerrima a difesa degli interessi del Paese - che si propone di tener lontane le tentazioni di uno scontro di civiltà che indebolirebbe il Libano, così agevolando le ambizioni israeliane di appropriarsi del fiume Litani. Inoltre, che l’artificiale cultura dello scontro di civiltà sia estranea a questo Paese lo si capisce anche, semplicemente, visitando uno dei tanti negozi turistici situati nella zona sud di Beirut, gestiti da proprietari sciiti. Esposte in mezzo ai tanti prodotti tipici, persino di fianco a qualche oggetto sacro dell’Islam, fanno bella mostra piccole icone di Gesù Cristo, della Vergine Maria e del Santo del Libano: San Marone. Questo contatto amichevole tra Cristianesimo e Islam procura però anche un sospiro di malinconia, pensando a quanto odiosa e devastante sia stata la guerra civile in un Paese come questo, storicamente abituato al pluralismo.

E’ lo stesso Ammar Moussawi che torna su quel tragico tema, e lo fa senza lesinare qualche appunto verso i cristiano-maroniti: “In passato c’era un muro tra sciiti e cristiani, effetto della guerra civile a cui Hezbollah non ha partecipato. Molti cristiani, al contrario, ne presero parte con ferocia e sostennero i progetti egemonici di Israele sulla nostra terra”. Moussawi fa, a questo punto del discorso, una professione di indulgenza: “Noi però li abbiamo risparmiati, per non far scorrere in Libano altro sangue. E questo è stato apprezzato dai cristiani, i quali oggi collaborano con Hezbollah”. A proposito dell’opinione che molti cristiani, in Occidente, conservano di Israele, Moussawi rammenta un dato oggettivo che è sommerso dai nostri media: “Israele si dice amico dell’Occidente, ma la maggior parte dei cristiani sin dalla sua nascita sono stati costretti ad abbandonare la Terra Santa”. Altrove, puntualizza ancora Moussawi, le cose sono andate diversamente: “Nell’Iraq di Saddam Hussein i cristiani vivevano nella pace e nel rispetto, mentre ora, dopo l’intervento americano, vengono perseguitati e uccisi”.

A questo punto il responsabile esteri di Hezbollah mi fornisce lo spunto per chiedergli un commento sulla visita di Papa Benedetto XVI in Libano, che avverrà a settembre. “Il Santo Padre è il benvenuto. Speriamo che tutti ascolteranno le sue parole”, mi risponde subito. E poi continua facendo riferimento al destino dei cristiani in Medio Oriente: “Comprendiamo le sue preoccupazioni per i conflitti in questa regione; purtroppo i cristiani, essendo minoranza, ne subiscono gli effetti. Anche noi sciiti nel mondo arabo siamo una minoranza, e dunque condividiamo il timore con il Papa”. Del resto, motivi di preoccupazione esistono, e covano da anni all’interno di alcune correnti dell’Islam sunnita, oggi protagoniste in Siria nell’attaccare il governo di Bashir al-Assad. “Nell’opposizione siriana c’è un conflitto per il controllo del movimento. All’interno ci sono anche forze intolleranti che hanno come idea quella di annullare il prossimo. E’ una minaccia che toglie serenità a popoli da sempre abituati a vivere insieme”. Queste sue parole trovano maggior risalto alla luce di quanto avvenuto qualche giorno prima, ovvero il sequestro in Siria di dodici pellegrini libanesi sciiti (poi rilasciati). E’ proprio a questo argomento che fanno seguito ulteriori parole d’amicizia nei confronti dei cristiani del Libano: “Anche loro si sono pubblicamente espressi solidali nei confronti della nostra comunità dopo il sequestro”.

Una solidarietà che i cristiani seppero attuare concretamente anche nell’estate del 2006, durante la “guerra dei 33 giorni”. Mentre Israele sganciava bombe sulle case dei quartieri popolari a maggioranza sciita - mi spiega Moussawi -, le chiese cristiano-maronite venivano aperte per accogliere e soccorrere i rifugiati. Gesto che, da parte sciita, ha trovato degno ricambio: è, infatti, da attribuire a Waad, costola di Hezbollah che si occupa della riedificazione dei quartieri distrutti da Israele nel 2006, la ricostruzione della chiesa di Saint Joseph, a Beirut, non risparmiata dalla furia distruttrice di quell’aggressione.
La piacevole discussione con Ammar Moussawi rafforza in me l’idea che questo mosaico di culture, qual è il Libano, grazie al contributo di movimenti come Hezbollah, abbia ricominciato a consolidare la sua natura di affascinante esempio di convivenza. Del resto, come afferma lo stesso Moussawi, “la diversità religiosa è una ricchezza che deriva dall’esperienza accumulata”.

Federico Cenci – Agenzia Stampa Italia