Profumo d’Africa per un Sudan che cambia volto


Primo giorno in Africa, il vento è caldo ma secco e la sensazione è piacevole come la prima impressione che ti trasmettono i visi che incontri. Sguardi fieri e profondi che riscaldano il cuore. Un parco separa il nostro hotel dal Nilo, radi alberi offrono ombreggio che diventa occasione di socializzazione. Ognuno è dominato da una “signora del te” donne bellissime che offrono il prezioso infuso che la loro sapienza sa rendere unico e la dignità che sprigiona da ogni loro gesto ti fa sentire a tuo agio. Tutto intorno capannelli di persone, bambini che corrono, giovani coppie e famiglie. Si vede che è giorno di festa anche se il colore degli chador è lo stesso di ogni giorno

Sembra incredibile che uno stato che solo fino a pochi anni fa era dilaniato dalla guerra civile oggi dia tanti segnali di pace e di ripresa civile ed economica. L’Europa ha perso qui una delle più importanti occasioni di svolgere un ruolo smarcandosi dagli interessi dominanti degli Stati Uniti. Oggi il Sudan è diventato una porta di accesso all’Africa, questo è vero, ma della Cina che prima di noi ha capito l’importanza di questo paese, cerniera fra Medio Oriente e l’Africa centrale. Estrazione del petrolio di cui è ricchissimo, industria, commercio, supporto economico e sociale, questo ha fatto la Cina e non è stata in grado di fare l’Europa.

Assadakah, e oggi noi per lei, sta cercando di ribaltare lo schema e siamo qui per capire cosa l’Italia può fare per il Sudan e per il Darfur. Il rapporto col governo è forte e costruito in anni di collaborazione e supporto politico che ci danno il patrimonio di credibilità necessario. Siamo qui per dire che l’Italia vuole e può recuperare quel ruolo che negli scorsi decenni ha ricoperto bene soprattutto quando abbiamo avuto la forza di pensare e agire con la nostra testa svincolandoci dagli interessi forti che mantengono l’Africa in condizioni di sottosviluppo insopportabili.

Inizieremo visitando il campo profughi di Abu Shouk, nei pressi di Al Fasher, nel nord Darfur. Lo faremo con la guida del Governo che garantisce la nostra sicurezza, anche se l’impressione è che i toni apocalittici del sito del nostro Ministero degli Esteri siano davvero fuori luogo. Il nostro obiettivo è costruire una scuola per quei bambini, ridare loro una speranza per il futuro, farlo col nostro lavoro e con l’aiuto dell’Italia migliore svincolati dai moloch della cooperazione internazionale che sembrano preoccupati più della loro sopravvivenza che non di quella degli africani.