Iran: Con i miei occhi. Nell’ “impero del male” la gente sorride


RAGAZZE IRANIANE AL PARCOUna settimana in Iran? Detta così agli amici prima di partire sembrava dovessi partire per il fronte, i più affettuosi, dopo una pacca sulla spalla dicevano: “stai attento”, gli altri un po’ spocchiosi: “ma cosa ci vai a fare?”. Pregiudizi in buona fede di chi quotidianamente vive in occidente, afflitto dalle pene della globalizzazione ed informato dai colossi lobbisti made in USA e Israele.
Non che non si percepiscano  difficoltà in quella che fu la grande Persia, la teocrazia di stato impone vincoli non sempre tollerati specie dalle giovani generazioni, ma l’aria che si respira è quella di uno stato normale, in forte crescita economica con la presenza di tanti giovani sempre pronti ad un sorriso o a fare due chiacchiere.
La forza di questo popolo è il sorriso, la simpatia, il calore che sanno mostrare!
I monumenti e l’architettura maestosa, i giardini, le tombe dei grandi e dei poeti, tutto bello e affascinate, ma la meraviglia diventa fredda senza il calore della gente, le persone creano empatia e suscitano interesse.
A Yazd, città fatta di fango, immersa nel deserto, l’acqua viene portata dalle montagne con un sistema ingegneristico di canalizzazione sotterranea, i templi zoroastriani si confrontano con le moschee.
Nel giardino di  Dolalat Abad. una studentessa incontrata al parco, alla domanda se trovare lavoro è più facile per una donna o per un uomo risponde, non è un problema di sesso ma di professionalità. Sul velo dice che lo porta volentieri e che le piace. Portare il velo è un grande valore in questa dimensione. I giovani sono liberi e tranquilli si incontrano quando hanno tempo libero, soprattutto nelle case.

Il Parco, con tanti palchetti, è un ritrovo per giovani, fidanzati che si coccolano con lo sguardo, ci scappa anche qualche bacio ma lontano dalle telecamere e dalle macchine fotografiche. Un pò meno disinibiti dei nostri giovani ma sembra siano spensierati. Vivono la loro dimensione umana con semplicità ed intensità.
Il grande prato è una sorta di campeggio libero autorizzato, dove Iraniani in vacanza o anche i cittadini della città si recano la sera , o si accampano , cucinano, chiacchierano, ed è impossibile passare, anche a tarda notte,  accanto ad una loro tenda senza venir fermati e senza ricevere la loro ospitalità, un caffè, un the, qualche dolce da mangiare.
Una voglia di comunicare immensa.
Fioccano le lingue, una sorta di esperanto, una commistione fra inglese, francese, spagnolo e farsi. Difficile trovare un ragazzo che non capisca o non parli almeno l’inglese.
Il parco nonostante la presenza dei campeggianti è pulito ed ordinato, come se la gente che lo abita per qualche ora o per qualche giorno lo considerasse casa propria.
La vita scorre nella sua straordinaria quotidianità: c’è chi ci mangia, chi cucina, chi si bacia, chi fa l’amore, un grande albergo a cielo aperto dove ognuno degli inquilini sa che deve rispettare certe regole e lo fa.

Nella parte commerciale del centro di Shiraz tutto pare normale, molti giovani per la strada, nei ristoranti, nei centri commerciali. Ancora una volta emerge con forza la socialità dei giovani.

Socialità generalizzata fra ragazzi e ragazze anche se più marcata fra le ragazze, che se non avessero il fazzoletto sul capo apparirebbero del tutto simili alle loro coetanee milanesi o cagliaritane.
Un normalissimo “struscio” cittadino non molto diverso da quello a cui siamo abituati nelle città occidentali.
Niente polizia, niente controlli, tutto sereno non affiorano pericoli, non si percepiscono.

Tutto appare molto sereno, ma non è solo apparenza la serenità e la calma sono reali, nessun problema per noi turisti occidentali che ci muoviamo indisturbati come in una qualsiasi città europea.

Uno spaccato dell’Iran che non mi sarei mai aspettato tutto sembra far trasparire l’essenza di un popolo civile abituato alle sue regole, abituato a rispettarle ma anche a saperle interpretare per non sentirsi soffocato dalle stesse.

Mi raccontano che i ragazzi si incontrano nelle case, organizzano feste, cene un po’ come accade in molti paesi della mia Sardegna. Pochi locali, ed in quelli si devono rispettare le regole.

Una domanda me la devo porre, ma siamo così convinti il nostro modello di vita sia quello giusto?
Siamo sicuri che il nostro modo di “consumare”, rapporti, relazioni, contatti sia quello corretto, che riusciamo ad assaporare realmente quello che la vita ci dà?

Sono interrogativi ai quali ciascuno di noi potrà dare una risposta diversa. Una cosa è certa quando parliamo di libertà, dobbiamo interpretare correttamente tale concetto.

È più libero un giovane iraniano o un giovane newyorkese?
Quanti vincoli ha ciascuno di loro? I
I limiti esterni, siamo certi che siano solo rappresentati dalle “regole” di un “regime” come quello iraniano o che siano in realtà spesso con maggior peso rappresentati dai vincoli delle globalizzazioni che subiscono i  giovani occidentali?

Il Presidente di Assadakah Sardegna

Raimondo Schiavone